Molto interessante l’intervento di ieri sul Corriere della Sera a firma Lorenzo Salvia. Quanto è appropriato l’uso di Internet per la comunicazione tra studenti e insegnanti? Prevale l’utilità della relazione diretta con uno strumento che gli studenti vivono come proprio, o il rischio di una eccessiva confidenzialità fa perdere la distinzione dei ruoli?
In molti dialetti c’è un proverbio che possiamo tradurre “se si prende confidenza, si perde riverenza”. I nuovi mezzi possono acuire questi rischi ma, essendo appunto dei mezzi e non dei fini, dovrebbero essere visti serenamente caso per caso.
Non mi è mai piaciuto l’insegnante distaccato, che si ammanta della propria autorità, ma nemmeno l’amicone che vuole fraternizzare a tutti i costi, e non credo ci sia un’enorme differenza tra il colloquio vis à vis e quello mediato dal cyberspazio. Se c’è differenza, credo stia di più nell’asimmetria tra il nativo digitale e l’adulto che nei nuovi mezzi entra con una certa goffaggine. La distinzione dei ruoli tra maestro e discepolo c’è sempre stata e deve esserci, ma è la sostanza della comunicazione che la mantiene, non la sua forma.
Lasciando stare epoche incommensurabili alla nostra (la Grecia, Roma, l’alto medioevo), penso a quei momenti in cui il rapporto didattico era più diretto e coinvolgente, l’epoca nuova che va dall’era gotica alla controriforma e ai successivi secoli di opposti perbenismi e bigottismi che si trascinano fino all’età dei jeans e dei Beatles.
Nelle cronache dei tempi tra Abelardo e Paracelso, tanto per dire, leggiamo continui esempi di maestri che vivono un forte coinvolgimento con i loro discepoli e altri adornati di distaccata e spesso posticcia sacralità. Ciò però non significa che i primi siano meno autorevoli dei secondi, anzi, perché il vero magister viene riconosciuto come tale proprio perché altro, diverso fino al momento in cui la conclusione del corso degli studi porta alla naturale caduta della diversità. Il tronfio Maestro Taddeo del Novellino viene sbeffeggiato anche nella sua aula, ma Bacone (o Zenone) non perde di autorevolezza se sta in Chiesa coi santi o in taverna coi ghiottoni, o in altri spazi ludici che a quei tempi erano i bordelli e oggi le veglie notturne delle gite scolastiche.
Per stare più terra terra, in una compagnia di alpini il capitano e la recluta condividono la marcia, il rancio e la bottiglia, ma proprio questo rende ancora più vivo, autorevole ed efficace il riconoscimento dei reciproci ruoli. Non è la separazione fisica della cattedra a far sì che lo studente colga tale differenza, ma tutto l’insieme dell’atteggiamento, della consapevolezza di sé che l’insegnante dovrebbe avere, anche se si siede sui gradini delle scale, al tavolo del bar o alla tastiera del pc a tarda ora.
E poi, non è che ogni medium tecnologico sia uguale a tutti gli altri, se i professionisti della comunicazione distinguono varie sfumature tra “caldi” e “freddi”.
Un sms è invadente: arriva in tempo reale, magari in un momento poco opportuno, induce a una risposta immediata. Molto comodo per ragioni di servizio, porta abbastanza in fretta a un abuso di confidenza: anche se silenziato, un va e vieni di messaggini può ragionevolmente far sorgere dei dubbi nel coniuge dell’insegnante che rotea sui tasti le impacciate falangi.
Una chat, o Skype, assorbono interamente come una telefonata. Mi è capitato di skypare durante le vacanze per approfondimenti didattici o per pure e semplici chiacchiere, ma non ci vedo un’enorme differenza rispetto al rapporto diretto e personale: se tende a prolungarsi rischia di essere imbarazzante per entrambi quando eccede in familiarità. In effetti, lo uso poco.
Diverso è il caso dei mezzi che lasciano differire i momenti della comunicazione, come l’e-mail. Twitter lo trovo formidabile: più conciso degli sms, lo usi sia in tempo reale sia in differita, può essere pubblico o del tutto privato. Ottimo anche per informare senza patemi le famiglie durante una gita scolastica (“Qui Praga, non piove, stiamo entrando al Fleku”: passo e chiudo). A proposito, su Twitter sono CanonF1.
Ma eravamo partiti da Facebook. Qui ho qualche perplessità in più, con tutto il meccanismo delle “amicizie”, le foto, una pubblicità dei messaggi che mette in piazza ogni cosa… beh, tra i molti Sergio Palazzi che ci trovate io non ci sono, nonostante più di uno studente mi abbia proposto di entrare nella sua lista, e con questo credo sia chiaro cosa ne penso. Almeno per il momento tengo duro: se lo conosci, lo eviti e non ti uccide.