Mi spiace dirlo, ma questa volta non mi è proprio piaciuto l’articolo di Giovanni Cominelli. Non per la posizione che esprime sulla presunta rivoluzione del sistema di valutazione, che il governo avrebbe introdotto per decreto: ho i miei dubbi, ma è legittimo che Cominelli invece si fidi. Sull’impianto si può concordare e la proposta del Partito Democratico non è dissimile (seppur più articolata e a mio avviso migliore di quella governativa). Io non credo però che si andrà oltre la petizione di principio, viste anche le risorse sempre più esigue che vengono destinate alla valutazione e al riconoscimento del merito dei docenti. Processo alle intenzioni? Qualche indizio che non sia così dovrà riconoscere lo stesso Cominelli che c’è. La Ministra, ad esempio, si era impegnata a destinare a quello scopo il 30% dei tagli di questi anni, ma è finita con il mettere bruscolini a disposizione di una sperimentazione e con i direttori regionali che telefonano direttamente alle scuole per pietire un’adesione alla sperimentazione stessa. O ancora: lo stesso corpo ispettivo previsto dal Milleproroghe non ha nulla a che vedere con l’Ofsted evocato da Giovanni, che si è anche dimenticato di ricordare che p- con metodo tutto italiano – parallelamente a questa “riforma” è in corso la procedura per arruolare qualche centinaia di ispettori con le caratteristiche del vecchio corpo ispettivo. Quanti anni ci vorranno per “l’Ofsted de noantri” ipotizzato dalla Gelmini?
Ma ripeto: la delusione non è per questa parte del suo intervento, ma per quella che riguarda le parole di Berlusconi. Le trovo insolitamente, visto l’autore, cerchiobottiste e assolutorie per un attacco indegno non solo alla professionalità docente, su cui molto si è detto, ma a un punto della legislazione scolastica italiana che mi sarei aspettato di veder difendere con maggior vigore da queste colonne: l’idea che la scuola pubblica sia un tutt’uno e non viva della contrapposizione sciocca tra gestore statale e non statale.
In altre parole, credo che quello di Berlusconi sia un attacco alla parità scolastica, che in quanto tale andrebbe denunciato e condannato. Un attacco che dimostra anche una conoscenza assai superficiale della Costituzione, peraltro assai liberale per quel che concerne la libertà di insegnamento e di educazione. La nostra Costituzione stabilisce ad esempio che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione”, che la Repubblica si limita a dettare “le norme generali sull’istruzione”. Ma non solo: l’art. 117 (che indica le competenze dello Stato e delle Regioni) considera l’istruzione materia concorrente, specificando altresì che va esercitata “fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”. In altre parole la scuola di Stato evocata da Berlusconi non esiste: ci sono scuole di privati ed enti, c’è l’autonomia delle singole scuole (anche di quella statale), c’è la libertà di insegnamento dei singoli professori, che – come in tutte le categorie – non sono tutti uguali.
La scuola di Stato evocata dal capo del Governo per strappare l’applauso di gruppetto di supporter non esiste e rivendicarlo è il terreno comune sul quale possono e devono incontrarsi coloro i quali hanno a cuore una seria riforma della scuola, votino essi per il centrodestra o per il centrosinistra; il terreno comune sul quale possono e devono incontrarsi coloro i quali vogliono difendere il principio che la scuola pubblica nel nostro paese vede il concorso di soggetti diversi (Stato, Enti locali, privati di natura confessionale e non). E mai come in questo momento c’è bisogno di una comunione di intenti tra tutti questi soggetti. Prendendo a prestito le belle parole di Marco Rossi Doria su La Stampa, si deve infatti convenire che oggi “sono fortemente indeboliti i retroterra di ogni società educante, tanto che ogni giorno le scuole sia pubbliche che private e le famiglie, insieme, stanno faticosamente lavorando a ritessere la rete educativa adulta comune, entro le mutate condizioni”. E così conclude Rossi Doria: “Istigare alla divisione tra scuole e scuole, tra genitori e genitori, tra scuole e famiglie [è] un atto di estremismo politico e di irresponsabilità civile che, per il bene di tutti i nostri figli, l’Italia, già fin troppo divisa, non si può né si deve permettere”.
Chi scrive non ha mai esitato a criticare la propria parte quando si è attardata a difendere lo status quo, considerando ad esempio l’atteggiamento della sinistra verso l’autonomia scolastica e il principio di sussidiarietà una sorta di cartina di tornasole per riconoscere chi non vuole il cambiamento. L’atteggiamento verso i deliri del Presidente del Consiglio di sabato – per le ragioni che ho provato ad esporre – è analogamente la cartina di tornasole per distinguere nel centrodestra chi vuole il cambiamento da chi fa propaganda.