Mi è stato affidato il compito di tracciare le linee conclusive del Convegno, in modo tale che possano aiutare la continuazione e lo sviluppo di quanto è stato proposto oggi. Ne vorrei indicare quattro, senza alcuna pretesa di offrire una sintesi completa degli interventi, per i quali rimando alle relazioni scritte, che saranno fra poco a disposizione di tutti.
1. La domanda di conoscenza e il futuro della scuola
Il dato da cui partire – e gli interventi iniziali lo hanno messo bene in evidenza – è la domanda di conoscenza che, con sempre maggior frequenza e maggiore intensità, si registra nella scuola, da parte, anzitutto, degli studenti, ma anche, in forma diversa, degli stessi insegnanti. Le nuove generazioni sembrano meno disposte che in passato a rinunciare a questa essenziale dimensione dell’essere umano, carattere peculiare della sua dignità, e chiedono, a volte in modo ancora confuso e implicito, altre volte invece in modo chiaro, di non sprecare tempo e di utilizzare le proprie energie in un impegno concreto e serio, che permetta loro di crescere e affrontare, da protagonisti, la vita di domani. Un’analoga richiesta viene dalla stessa società, che vede nell’ignoranza, nell’approssimazione, nelle scorciatoie dei furbi una delle cause del suo degrado e del suo impoverimento, non solo spirituale, ma anche materiale. Anche le istituzioni scolastiche e accademiche condividono, in gran parte, questa esigenza, non più disposte a ricoprire un ruolo compensatorio, quali ammortizzatori sociali degli adulti e aree di parcheggio dei giovani, che scelte politiche del passato hanno loro attribuito.
Queste esigenze e richieste si scontrano però, per altro verso, con una tendenza negativa verso l’impoverimento linguistico, scientifico, artistico e, in genere, culturale. Sebbene l’Italia vanti una tradizione scolastica di tutto rispetto, che, ancora conservandosi, permette di evitare pericoli e disagi gravi, come quelli che si registrano in altri paesi occidentali, il fenomeno riguarda anche noi. Non sono mancati, a questo proposito, nelle ultime settimane, interventi accorati di autorevoli esponenti della cultura che, sulle pagine di quotidiani nazionali, hanno voluto esprimere le loro preoccupazioni.
Fra i tanti, riprendiamo un brano di un articolo comparso in prima pagina del Corriere della Sera del 24 gennaio scorso: “Visitando a Roma il Giardino del Lago, col bel tempietto dedicato (in lettere greche) ad Asclepio Salvatore, nessuno si sarebbe domandato: chi era costui? Oggi, dopo generazioni di egualitarismo, che ha pericolosamente ravvicinato l’asino al sapiente, la qualità culturale si è straordinariamente abbassata (…), anche se il bisogno di cultura si è invece esteso”.
Ci troviamo dunque di fronte ad un paradosso dalle dimensioni impreviste: da una parte cresce l’esigenza di conoscenza, dall’altra ci si scontra con l’incapacità di darvi risposta, addirittura per una certa facilità di andare nella direzione opposta.
All’origine di questa situazione paradossale vi sono cause remote, come le scelte politiche e istituzionali fatte sulla scuola negli ultimi decenni, cause prossime, come l’impreparazione e l’inadeguatezza dei formatori, cause formali, come la pedagogia dominante nella scuola italiana e nel ministero dell’Istruzione – si pensi, ad esempio, alla forte riduzione dell’educazione a training -, cause materiali, come la mancanza di risorse e l’inefficienza organizzativa. Senza una corretta soluzione di questo paradosso, nessuna riforma della scuola potrà produrre benefici apprezzabili e potrebbe non solo perpetuare il disagio attuale, ma addirittura aggravarlo.
Fra le tante cose da fare, due sembrano particolarmente urgenti: ridare un’anima alla scuola e ritornare alle sue funzioni specifiche, che essa deve continuare ad esercitare, pur in un contesto sociale nel quale le fonti di informazione e di formazione si sono notevolmente moltiplicate e il suo ruolo esclusivo è messo in discussione.
Per la prima urgenza, l’impegno personale e quello collettivo dovranno essere ampi e articolati; essi saranno tanto più concreti e innovativi quanto più sapranno rivalutare e rivivere quel fattore cruciale di ogni scuola che è il rapporto fra maestro e discepolo, incontro umano di esperienza e di libertà, che spalanca alla realtà. E’ stato più volte ricordato, nelle relazioni di oggi, che l’insegnamento è strettamente collegato alla crescita dell’alunno e, nella rigorosità del metodo e nella padronanza dei contenuti, è sempre qualcosa che accade. Ciò richiede che esso non sia un mero trasferimento di nozioni, ripetute meccanicamente, ma incontro umano in cui siano condivise e approfondite l’esperienza e la conoscenza della realtà. Proprio questa conoscenza deve “contare” nella scuola di oggi, in un quadro di riferimento valoriale improntato alla formazione della persona umana, e dunque alla crescita dell’intera società, per impedire l’appiattimento dell’intero sistema educativo e formativo e per promuoverne, invece, il rilancio (1).
Per la seconda urgenza, occorrerà privilegiare, fra le funzioni plurime che la società chiede alla scuola, quelle sue proprie, ossia quelle legate a istruire, insegnare ed educare (2). Funzioni che la scuola deve riprendere con decisione, superando false ed equivoche contrapposizioni – ad esempio: apprendimento vs. insegnamento oppure competenze vs. conoscenze – e recuperando così il ruolo specifico di “centro di cultura” e “luogo di conoscenza”, ruolo che le compete per diritto in una società e per assolvere il quale essa deve essere adeguatamente sostenuta e finanziata.
2. Il valore della conoscenza
Sostenere che la scuola è “luogo di conoscenza” è però solo un passo, cui devono seguirne altri per completare il cammino. Infatti, di quale conoscenza si intende parlare ?
Già l’uso del singolare, invece del plurale, indica una prospettiva diversa da quella normalmente in auge. Un lessico pedagogico in cui alla “conoscenza” siano stati sostituiti termini quali “conoscenze” e “saperi” denota l’accettazione della divisione e frammentazione del conoscere, e, all’interno di questa divisione, altre distinzioni non validamente fondate – quali ad esempio la distinzione fra saperi utili e saperi non utili, fra saperi prescrittivi e saperi speculativi, fra conoscenza concreta e conoscenza astratta. L’uso del termine al singolare colloca la riflessione al di là di queste divisioni e chiede, dunque, di discuterle e di motivarle, ed eventualmente di respingerle.
Una seconda osservazione riguarda la natura del conoscere e le attuali concezioni, di carattere generale – filosofico e scientifico -, che possono riversarsi nell’ambiente scolastico e nell’attività di insegnamento. E’ compito dell’insegnante rendersi conto della concezione di sapere che, anche attraverso normali pratiche scolastiche, viene sostenuta e diffusa e, in base alle proprie convinzioni, prendere posizione di fronte ad essa, senza subirla ingenuamente. Delle varie visioni della conoscenza, due soprattutto sembrano diffuse e incidenti nella scuola: la conoscenza come costruzione sociale e l’enciclopedismo.
a) Conoscenza come costruzione sociale
La prima, che spesso è associata all’idea di scuola attiva, nella quale i saperi non sono imposti dall’alto, ma, opportunamente decostruiti, vengono inventati o reinterpretati individualmente e collettivamente, si fonda sul principio che il mondo, la realtà, l’oggetto – di cui nelle precedenti relazioni si è ampiamente parlato come di referenti dell’atto di conoscenza – esistono solo in quanto frutto di una descrizione e di una costruzione, socialmente condivisa in un determinato tempo e in una definita regione. Il mondo non è ciò che si incontra e si scopre, ma la costruzione che deriva da una interpretazione o teoria. Come sostengono autorevoli esponenti di questa posizione, «costruiamo mondi costruendone versioni» (Nelson Goodman), giacché «persone [come noi] pensano che non esiste un modo di essere del mondo indipendente da ogni descrizione, un modo di essere in base a nessuna descrizione» e «ogni fatto esiste solo perché noi esseri umani lo abbiamo costruito in modo tale da riflettere i nostri bisogni e interessi contingenti» (3).
Le versioni “scolastiche” di queste dottrine – che presentano elementi di indubbio interesse, seppur criticabili – sono assai varie, dalle più rigide alle più edulcorate, ma presentano alcuni elementi comuni, quali ad esempio: la sostituzione del giudizio con l’opinione, la mancanza di capacità argomentativa, lo spaesamento e la frammentazione (l’“ingiusta sofferenza” inflitta agli studenti, secondo Lucien Lafforgue), e, infine, una vera e propria paura di conoscere, come ha sostenuto Paul Boghossian, ex allievo di Richard Rorty allontanatosi dal maestro.
b) Enciclopedismo
La seconda versione della conoscenza è data dall’idea di sapere inteso come bagaglio di nozioni e informazioni che è necessario possedere per vivere in società ed esercitare un proprio ruolo positivo. La mole di informazioni che oggi sono messe a disposizione dalla rete e che sono prodotte e trasmesse da enti e soggetti, per numero e qualifica, assai differente che nel passato, accredita facilmente la convinzione che la conoscenza sia costituita dall’insieme delle notizie che è possibile acquisire intorno a fatti, personaggi e fenomeni. Poco conta se la “memoria” di tali nozioni non sia più posta nel soggetto umano, ma affidata alla rete; ciò che risulta importante è la disponibilità delle informazioni e la possibilità di attingere ad esse nel momento opportuno. Separate dal contesto e dall’ambito in cui sono collocate, le nozioni si pongono tutte sullo stesso piano – eliminando ogni distinzione di metodo e di ambito disciplinare – e costituiscono un insieme “indifferenziato”, utile, per lo più, all’atto pratico per svolgere determinate operazioni.
Se alla prima versione – dopo aver notato che il solo porre la domanda di conoscenza comporta la discussione di metodi e di prospettive pedagogiche e didattiche a volte introdotte acriticamente nella scuola – si può rinfacciare l’assunto controintuitivo – se esistono solo versioni, intorno a che cosa esse vengono formulate e che cosa determina la preferenza dell’una piuttosto che dell’altra? – e l’inapplicabilità pratica – alla fine si finisce per parlare ancora di cose, di fatti, di realtà -, alla seconda si può rispondere con alcuni brani di un discorso pronunciato, più di un secolo e mezzo fa, da John Henry Newman, nel quale si sottolinea il limite di una conoscenza ridotta a semplice informazione e la necessità, per l’intelligenza umana, di operare nessi fra le nozioni e i fatti, in modo da formulare giudizi e comprendere il senso di ciò che si conosce. Scrive appunto Newman nel XIV Sermone Universitario: “Vi sono uomini che contemplano le cose, sia nel loro insieme sia singolarmente, ma senza porle in correlazione, che accumulano fatti senza formare dei giudizi, che sono soddisfatti di una profonda erudizione o di una vasta informazione”. Analogamente, “studenti che si imbottiscono di letteratura e di scienza così abbondantemente da non lasciare alcuno spazio per determinare le reciproche relazioni che esistono tra le singole acquisizioni, appesantiscono la loro mente piuttosto che allargarla”. Tale allargamento o arricchimento consiste infatti “nel paragone reciproco degli oggetti della conoscenza. Noi sentiamo di spaziare liberamente quando non ci limitiamo ad apprendere qualcosa, ma quando lo riferiamo a ciò che sapevamo prima. L’arricchimento non consiste in una mera aggiunta alla nostra conoscenza, ma nel mutamento di luogo, nel movimento in avanti di quel centro morale attorno al quale gravita ciò che sappiamo e ciò che abbiamo acquisito, l’intera massa della nostra conoscenza” (4). La conoscenza, in altri termini, è l’esercizio della ragione su ciò che apprendiamo, ed è perciò una cosa non morta e statica, ma dinamica e vivente.
La critica alle due posizioni esaminate sopra rimanda a quanto è stato così bene detto stamane sul rapporto conoscitivo con la realtà, sulla dimensione argomentativa della conoscenza, sul dare le ragioni di ciò che si insegna e si apprende, sulla relazione fra maestro e alunno, nell’avventura della scoperta del mondo, e, in positivo, rende impellente la riproposizione del “realismo” metodologico e della dinamica conoscitiva, descritta ne Il rischio educativo, che fa perno sulla tradizione come ipotesi di lavoro e sulla verifica come costruzione del giudizio critico (5).
3) La centralità dell’insegnante
L’insegnante è la vera risorsa della scuola. Da impiegato burocrate (che trasmette e continua un’azione dello Stato) esso deve divenire, come è stato detto, soggetto che rischia in prima persona – la sua faccia, le sue idee, le sue energie – nel rapporto con gli allievi e nel complesso della convivenza umana.
L’insegnante è perciò a) portatore di un’esperienza della realtà e di un’ipotesi per conoscerla, b) terminale, nel presente, di una tradizione vivente ed è capace di comunicarla e di farla rivivere, c) funzione di coerenza ideale.
Le esperienze e le testimonianze di questa mattina hanno chiaramente mostrato questa fisionomia dell’insegnante e fanno ben sperare che nella scuola italiana si possa superare la delusione e la rassegnazione, il disorientamento e la confusione che non di rado impediscono di offrire proposte utili e attraenti alle giovani generazioni. Ma anche, tali testimonianze e riflessioni, hanno richiamato, ancora una volta, la necessità di una adeguata formazione degli insegnanti, sia all’inizio della loro carriera sia durante il loro servizio. Una formazione che tenga anzitutto vivo l’ideale per cui essi hanno scelto questa professione e che, nel tempo, consenta loro di acquisire capacità e mezzi che li rendano sempre più protagonisti della vita scolastica e dello sviluppo culturale e scientifico del nostro paese. E’ questo l’impegno che l’Associazione “Il rischio educativo” ha cercato di assolvere in questi anni e che ora, insieme alla Fondazione per la Sussidiarietà, si cercherà di realizzare in modo sempre più robusto e ampio.
4) Gli studenti
Infine, in un Convegno di insegnanti, è bene ricordare che tutto quello che si fa nella scuola e che una scuola è chiamata a fare ha una finalità precisa: la crescita degli allievi. L’istruzione, l’insegnamento, l’educazione hanno come test del loro valore e della loro efficacia la crescita, umana e intellettuale, dei giovani. Se ciò non avvenisse, la scuola sarebbe solo una grande organizzazione, completa e perfetta come spesso la dipingono i progetti di riforma, senza più ricordare lo scopo per cui è stata istituita. Nel racconto Il pappagallo Tagore, ironicamente e tragicamente, descrive come facilmente la scuola possa diventare autoreferenziale e dimenticarsi, nel perfetto funzionamento delle sue parti, di colui per cui è stata fatta, il quale, nella novella, non solo non canta più, ma è addirittura morto senza che nessuno se ne sia accorto.
Avere sempre presenti gli studenti, accorgersi delle loro esigenze, valorizzare le loro capacità e doti, aiutarli nei disagi che provano, e che non sempre riescono a manifestare, condividere con loro il bisogno di superare la frammentazione del sapere, spesso imposta dalla divisione rigida delle materie, cercare di scoprire il senso delle cose che si studiano e si insegnano, formare in essi una vera coscienza critica, frutto di successive sintesi personali, tutto questo significa riportare la conoscenza nella scuola.
Significa alzare il velo sulle domande, incarnate nello studente, alle quali dare o cercare di dare insieme una risposta. E’ stato prima detto che l’insegnante ha il suo miglior alleato nell’io dello studente. E’ a questo “io” che occorre guardare e rispondere. Ed è per dare questa risposta che vale la pena costruire, non un apparato o un’organizzazione, ma una scuola vivente, sorretta dal rapporto vivo, vero, quotidiano, fra maestri, insegnanti e alunni.
1 Si veda, a questo proposito, La conoscenza conta, a cura di F. Valenti, Annuario dell’Associazione “Il rischio educativo” 2009-10, Milano 2011. Per un approfondimento dell’aspetto didattico del tema della conoscenza nella scuola, interessanti contributi si possono trovare nei precedenti annuari: Che cosa ‘fa testo’ nella scuola, a cura di A. Casetta e F.Valenti, Milano 2010; Che cosa accade in un’ora di scuola, a cura di A. Casetta e F.Valenti, Milano 2009.
2 Sull’importanza di recuperare le originario funzioni della scuola, si veda: La disfatta della scuola. Una tragedia annunciata, a cura di L. Lafforgue e L. Lurçat, Marietti 1820, Milano-Genova 2009.
3 Cfr. P. Boghossian, Paura di conoscere, Carocci, Roma 2006, p. 43.
4 J. H. Newman, Sermoni Universitari XIV, in Il cuore del mondo, Rizzoli, Milano 1994, pp. 40-41.
5 Cfr. L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, pp. 68-83, 87-93.