Potrei cavarmela, rispondendo alle osservazioni critiche di Marco Campione, dicendo che sono stato “travisato”. Ma è un participio di cui si abusa troppo spesso… In effetti, la parte finale del mio articolo era piuttosto brachilogica, ma solo per ragioni di spazio. Allora rifaccio daccapo il ragionamento, anello dopo anello.



La scuola italiana è pubblica, quasi al 100%: il 96% circa è statale, il 4% è paritaria. Questa percentuale varia di molto, a seconda degli ordini di scuola. Nella materna e nella primaria, la percentuale delle paritarie arriva quasi al 50%. Precipita a livelli infimi nel ciclo secondario. Dunque, complessivamente circa il 4%. Pertanto, anche supponendo che le scuole paritarie siano a livelli di massima eccellenza, resta che il 96% del sistema funziona sempre peggio. Detto in parole secche: i ragazzi imparano sempre di meno. Ricerche e esperienze lo confermano. Quali le cause?



In attesa di avviare una discussione approfondita su questo giornale delle tesi della Mastrocola, qui posso solo stendere un sommario. Le cause sono di due tipi: quelle di contesto e quelle specifiche del sistema educativo. Quelle di contesto: ruolo presente/ assente della famiglia? attenzione/ disattenzione alla prima infanzia? valorizzazione/ svalorizzazione sociale della cultura, della ricerca, degli insegnanti (stimati/ disprezzati?)? investimenti/ tagli nell’istruzione anche in tempi di crisi (cfr. Finlandia)? ecc… Poi ci sono le cause che dipendono dal sistema educativo: core curriculum/ pulviscolo di materie? organizzazione laboratoriale/ tayloristica della didattica (il taylorismo didattico è la causa profonda dell’alienazione scolastica!)?, preparazione/ impreparazione degli insegnanti? centralizzazione/ autonomia massima delle scuole? centralismo/ nuova governance?



Per Berlusconi l’epicentro della crisi è la scuola statale. Difficile negarlo, visto che rappresenta il 96% del sistema! Mi sarei aspettato che Bersani partisse dal fatto del malfunzionamento della scuola statale-pubblica, invece che scagliare, come l’eroico Enrico Toti, la sua stampella retorica della difesa della scuola pubblica contro la trincea immaginaria di chi dovrebbe smantellarla! Retorica, che copre un conservatorismo di fondo, teso alla difesa dello status quo. Sì, Berlusconi ha molte ragioni, quando si lamenta della scuola statale. Ragioni che finiscono, quando passa alla diagnosi.

 

Che lui pensi che gli insegnanti “inculchino” dimostra semplicemente una clamorosa ignoranza di come funziona la scuola reale, il rapporto insegnanti/ studenti, il rapporto scuola/ famiglia. E’ obbligato a saperlo? Lui forse no, il suo Ministro sì! Certo sarebbe tenuto a quel silenzio che già saggiamente raccomandava L. Wittgenstein nel suo Tractatus logico-philosophicus a chi non sa di che cosa parla: “Whereof one cannot speak, thereof one must be silent”. Anche perché si espone ad argomenti ad personam molto pertinenti: dal 2001 al 2011, Berlusconi ha già governato la scuola pubblica-statale per 8 anni. Ha investito sugli insegnanti, ha approvato un nuovo stato giuridico, una carriera, uno stipendio decente e in progressione? Li ha valorizzati socialmente o lasciati al disprezzo sociale dei loro alunni e delle famiglie? Ha costruito un Sistema nazionale di valutazione? Ha riorganizzato il curriculum? Ha completato il percorso dell’autonomia delle scuole o ancora rimasta “funzionale”, come l’aveva progettata il centro-sinistra?

 

Alla sua diagnosi improbabile – che si riduce alla solita patetica antifona: gli insegnanti della scuola statale sono tutti comunisti – Berlusconi aggiunge una sua terapia: libertà di scelta della scuola da parte dei genitori. Benchè malfondata sul preteso omnicomunismo imperante nella scuola statale e non sul diritto “naturale” dei genitori a scegliere l’educazione migliore per i propri figli, la proposta è assolutamente condivisibile.

Quel diritto sta scritto persino nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo! I governi devono renderlo effettivo, fornendo informazioni comparative su scala territoriale circa la qualità dell’offerta e, soprattutto, trattando in modo equipollente i ragazzi, sia che scelgano la scuola statale sia che optino per quella paritaria. Il principio aureo è: The Funds follow the Pupils. La terapia proposta da Berlusconi è perfetta. Peccato che in questi dieci anni non sia mai stata applicata.

 

Un milione e passa di famiglie italiane dichiara – secondo una ricerca dell’Università di Genova e del Politecnico di Milano, citata nel recente comunicato dell’AGESC – di non poter scegliere la scuola paritaria per mancanza di soldi. La legge n. 62 del centro sinistra è del 2000. Qualcuno nel centro-destra, a partire dal capo del governo, ha mai pensato di completarla con la previsione di finanziamenti strutturali e non contingenti/annuali, per ottenere i quali le scuole paritarie sono costrette a una annuale umiliante mendicanza? Berlusconi e i suoi Ministri dell’istruzione sanno che in tutta Europa la scelta delle famiglie per le scuole non statali è totalmente finanziata, in modi diversi dallo Stato, il quale nella Francia iperlaica paga gli insegnanti delle scuole private? Oppure prendere ad esempio il resto d’Europa è da considerarsi esterofilia, come ho dovuto sentir dire? Marco Campione dovrebbe cercare, da parte sua, di far capire al PD che se continua a difendere lo status quo contribuisce al declino di questo Paese. Berlusconi vi accusa di essere comunisti. Purtroppo, mi viene voglia di dire, non più! Perché il comunismo, almeno nella classica definizione del Manifesto di K. Marx, è “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. Non è la conservazione dello stato di cose presente.

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