La polemica sui recenti fatti del Parini infiamma i quotidiani e, non avendo una conoscenza diretta, mi guardo bene dall’esprimere giudizi o dal dire “bisognerebbe fare così”. Di certo concordo con la circolare con cui il dirigente scolastico Pedretti ha cercato mesi fa di tranquillizzare gli animi. Mi limito invece a raccontare quello che vedo e quello che faccio dal mio osservatorio di ds di un grosso Itis.
Lo scorso anno, ponendomi il problema di rilanciare la partecipazione sul versante delle famiglie, mi sono chiesto cosa avevo da offrire in cambio di una disponibilità a farsi carico della rappresentanza.
Per anni, da docente di liceo, avevo osservato il rito dei consigli di classe aperti, con il collegio docenti che tendeva a programmarne il meno possibile e la seduta con la sua liturgia: tempo da 50 minuti a un’ora, docenti con molte classi che vanno e vengono e sono sempre nell’altra classe, un pistolotto iniziale molto diverso a seconda delle caratteristiche di chi presiedeva la seduta, il passaggio della palla ai docenti, di solito seduti ad anfiteatro intorno alla cattedra, le solite cose del tipo sono intelligenti ma non si applicano, disturbano, sono troppo vivaci (detto sempre in negativo), intervengono troppo e in modo disordinato…
Poi a 20 minuti dalla fine la parola passava ai delegati (degli studenti e dei genitori) che, di solito, riportavano in maniera imbarazzata (tra il dire e non dire) le cose emerse dalle rispettive assemblee. In oltre 30 anni ne ho viste di ogni: il docente incapace regolarmente impallinato finché non subentrava lo sfinimento (perché non si spara sulla Croce Rossa), il docente superprofessionale cui nessuno osava mai fare domande od obiezioni, il docente amato o rispettato cui ogni tanto arrivava improvvisa la pugnalata tra il mellifluo e l’inquisitorio. Sono sempre uscito da quelle riunioni con una tristezza infinita e un senso di inutilità altrettanto grande. Mi chiedevo e mi chiedo: ma come si saranno sentiti loro (i rappresentanti)?
Così, da ds, ho fatto una scelta diversa e sono partito con i genitori cercando di coinvolgerli e di farli crescere dentro un progetto di appartenenza. Assemblee di genitori delle classi iniziali nella primissima fase dell’anno per presentare la scuola nella sua identità concreta (le cose che non si riescono a trasmettere in un documento scritto) e in quell’ambito l’invito a partecipare e ad impegnarsi. La esplicazione dell’organizzazione della scuola (ruoli, incarichi e persone) e degli strumenti della comunicazione e di dibattito (in primo luogo il sito). Programmazione nell’ambito del piano delle attività delle riunioni assembleari dei delegati dei genitori e convocazione degli incontri con lettera personalizzata e firma autografa oltre che avviso sul sito.
Le riunioni sono 4 o 5 in corso d’anno, si svolgono dopo le 20, e partecipano ormai circa l’80 percento dei delegati. Ci sono io, un collaboratore e il responsabile della succursale (biennio Iti). C’è un punto fisso all’ordine del giorno che porta via i primi 40 minuti: il Cahier de Doléances. Il punto viene aperto con un’esortazione: sfogatevi rimandando le questioni più delicate che potrebbero riguardare casi personali ad una sede più ristretta. Escono denunce di cose che non vanno, suggerimenti, proposte. Per esempio nell’ultimo incontro è emersa la proposta di dilatare i tempi del ricevimento collettivo pomeridiano rendendolo più certo, meno frettoloso e ambientalmente più gradevole. Poi si passa alla discussione di argomenti trasversali di competenza di collegio e/o consiglio di istituto che vanno dagli edifici, al bilancio, alla valutazione. Di ogni riunione viene redatto un verbale in modo che il Cahier de Doléances si traduca poi in decisioni migliorative.
Sulle problematiche strettamente riguardanti la didattica si deve partire dalla battaglia per migliorare la comunicazione: tra studenti e docente, tra famiglia e docente, tra famiglia-studente-rappresentanti e ds. Lo dico sempre a tutti: evitate la sceneggiata in consiglio di classe. Si inaspriscono le situazioni e non si combina nulla. Ma d’altra parte esistono delle cose che fanno parte del contratto formativo che non possono essere lasciate alla libertà sfrenata del docente. Per esempio, se si parla di valutazione, è bene che esista un documento di collegio in cui si fissano certi paletti in termini di principio sulle scale valutative, sugli elementi che entrano nella valutazione, sullo scopo della valutazione, sulle forme della valutazione. Tutto ciò consente di rendere più trasparente e meno soggettivo il processo senza per altro negare il carattere un po’ artigiano e dunque irripetibile del processo di insegnamento.
In questo ambito tutto quanto consente di confrontare le esperienze tra pari, prendere decisioni di tipo coordinato, è benvenuto e fa bene alla scuola. Mi sono reso conto, standoci dentro, che il mondo dei tecnici è meno chiuso e meno individualista di quello dei licei e probabilmente quello dei professionali è ancora più aperto perché si confronta con cose come disgregazione sociale, demotivazione, ecc. Molto spesso, nel mondo liceale, si concepisce il ruolo di docente come il saper fare delle belle lezioni e il saper condurre degli accertamenti belli (scritti od orali). Quando poi lo studente non sa, viene represso e il docente considera finito il suo lavoro. Da noi, soprattutto nel biennio, la scuola incomincia in quel momento.
Per tornare alla questione della interazione tra componenti mi pare importante fare in modo che non accada mai che, dopo aver esperito un tentativo di discussione, una delle due parti concluda: è stato inutile. Ai genitori dico sempre: fatemi segnalazioni circostanziate, abbiate il coraggio di scrivere, a maggior ragione se siete portatori, come delegati, di un incarico di rappresentanza; ma dico anche: abbiate il senso della gradualità; non si parte mai andando dal ds e se ci si va, ci si va non sulla base dei si dice e avendo il coraggio di scrivere.
E gli studenti? Vengono di rado, ma vengono e quando arrivano sono meno esasperati dei genitori. Chiedono di essere ascoltati e di esporre le proprie ragioni. Quando si lamentano di un docente dicono: “non ci ascolta”. La stessa cosa che mi ha colpito nella dichiarazione di qualche studente del Parini sul Corriere di oggi: “i nostri genitori non c’entrano. Sono solo portavoce di un disagio inascoltato”.