Cara collega Mastrocola,

ho appena divorato il suo Togliamo il disturbo. Sono d’accordo con la gran parte di quel che scrive, sia pur notando qualche contraddizione; vorrei commentare quel che non condivido. Per brevità userò le sigle che lei usa, chiare solo per chi lo ha già letto.
Ho circa la sua età; perito chimico, laureato in chimica, insegnante per libera e ostinata scelta in un istituto tecnico chimico. Tendo ad avere un’ottica un po’ chimica, così come lei ad averla letteraria. La capisco: ho la fortuna di aver sempre amato la lettura, grazie alla mia famiglia e ad alcuni insegnanti. Tra i libri che assediano la mia casa, decine trattano di filosofia, storia, arte; la maggior parte sono di narrativa. Credo di aver imparato anche a distinguere tra libri di chimica scritti bene o male (parlo di libri veri, non di quei fascicoli illustrati, con o senza Cd, che chiamano libri di testo).
Ieri ho preso i miei sedicenni di non semplice gestione e anziché in laboratorio li ho portati in un’aula in penombra. Senza dire cosa fosse, ho letto loro un racconto. “Piombo”, la storia di Rodmund, la più letteraria e – solo apparentemente – più facile del “Sistema periodico” di Levi. Sono rimasti a bocca aperta in un silenzio irreale e, per loro, inusitato. Avevo scelto il punto in cui fermarmi, per dedicare un’oretta a parlare della chimica del piombo, del contesto storico e di quanto di reale e vivo ci fosse in quelle pagine, aiutandomi con proiettore e web. Poi ho ripreso e concluso. So che vorranno scoprire che libro è; alcuni lo leggeranno. Per me, sarà più semplice affrontare i prossimi argomenti didattici.
Sulla base di questo aneddoto e della mia caotica esperienza di lettore credo di aver visto una chiave per spiegare cosa non mi va nel suo spietato libro, sulla cui pars destruens si è già espresso Cominelli: non mi sembra di averci visto una sola volta la parola chimica. E non ho trovato, tra i più tersi scrittori, proprio Levi. Eppure dobbiamo avere molti gusti comuni, stante che ripetutamente cita il mio adorato Buzzati, e Fenoglio, e sia pur di sfuggita Borges ed Ariosto.
Vede, proprio la chimica fa saltare la sua divisione tra il sapere dei libri e le altre cose di carattere pratico, perché quella che qualcuno chiama la scienza centrale – un’altra volta ne parleremo – tanto più è elevata e approfondita tanto meno può stare lontana da un laboratorio, e tanto più sta in laboratorio tanto più ha bisogno dei libri. Un istituto tecnico a indirizzo chimico, nella mia certo condizionata visione, dovrebbe essere quanto più di affine a un liceo classico, anche se epidermicamente diversi. Forse la pensavo così già alle scuole medie, quando ero incerto tra le due strade.



Già, le medie: ricorda quando tutti facevamo latino, poi in terza diventava facoltativo così come musica e applicazioni tecniche? Io avevo fatto tutti e tre: provavo lo stesso gusto sia con il latino che con i modelli in legno e i circuiti elettrici. Oggi a mia figlia questa libertà di scegliere una via grazie alla scuola è preclusa.
Ho sempre trovato sciocco ed incolto dare diversa dignità ai percorsi di vita e lavoro, a fronte della presunta superiorità del lavoro intellettuale che continua ad essere inculcata a studenti e famiglie dalla scuola, e soprattutto da questa scuola media quasi sempre fallimentare. Lei pure: però accomuna l’istruzione tecnica e quella professionale nella sua categoria “w”. Lo fanno anche i minotauri. Ma i tecnici in buona parte dovrebbero rientrare nella “k”, se fatti come si dovrebbe; con studenti e docenti non scremati all’origine, in negativo, dagli snobismi delle ASF.
Per rendere più efficace la pars construens, guardi con più attenzione alle differenze formative e culturali (ripeto: culturali) che ci sono fra le diverse scuole che non sono ancora diventate una “cosa che inizia con elle”. Specie oggi che iniziano con elle, tanto per dire, anche gli ex istituti d’arte, che non insegnano più a tornire il legno ma scimmiottano quel che resta dei licei cosiddetti scientifici.
È normale, glielo dico con grande rispetto, che lei non colga la “kappicità” degli istituti tecnici chimici (e non solo). La sua vita scolastica è stata sempre nell’ambito di un liceo, dove la chimica non si studia: basta pensare che quasi mai l’insegna un laureato in chimica. Quindi, è possibile che lei difetti degli strumenti (tecnici, culturali?) per cogliere la grandiosità delle possibilità astratte, contemplative, estetiche della chimica, e quanto studiarla imponga rigore ed attenzione a più forme di linguaggi simultaneamente. Forse c’entra pure col suo silenzio su Levi: che io trovo ben più profondo, sobrio e rigoroso del solito Calvino. Ma non mi limito alla chimica, non vi hanno nemmeno insegnato a elaborare l’idea astratta delle linee di forza in un trasformatore, a differenza di un elettrotecnico che, pure, di antologie e grammatiche ne usa la sua parte.



Non è meno cultura saper studiare nel libro della Natura oltre che in quelli delle Scritture (sacre o profane). Ne ho già scritto qui, tempo fa: mentre io dall’istituto tecnico ho imparato ad amare la letteratura anche nei suoi aspetti formali, i docenti di italiano licealisti non hanno avuto la fortuna di cogliere l’illuminismo delle pagine di Lavoisier né il pre-dadaismo delle metafore di Lewis e nemmeno il rigore buzzatiano che serve per la cronaca di un’analisi chimica ben fatta. Così le “prime prove” assumono quelle forme così tristi, prive di spessore e di personalità; così pensiamo che i soli generi letterari degni di essere scritti e corretti come un tema possano essere, al più, quelli imposti dalla scuola che lei chiama “c”, anziché altre forme di scrittura che sarebbero non soltanto servilmente utili ma anche culturalmente formative. Negli scritti io correggo non solo errori d’ortografia, punteggiatura e sintassi italiana, ma anche l’ortografia di un calcolo, la sintassi di un problema, la logica che descrive un procedimento sperimentale: altro che tecnocrazia o il “redigere verbali” di De Mauro!
Lei è bravissima a scrivere di lupi, galline e capre sulla spiaggia. Ne fa oggetti puramente narrativi e non biologici, come è giusto che sia. Io spiego a boys&girls che quando due chimici siedono sulla spiaggia al tramonto non pensano ai silicati della sabbia o all’aerosol che fluttua nel cielo, “minuscoli frammenti della fatica della natura”. Non pensano a quello, ma ad amarsi. Ma l’emozione che li accompagna è più intensa perché, in quel che vedono, sanno che c’è più che il semplice scatto per FB che vedono i loro annoiati colleghi “con elle”, privati dalla scuola della libertà di essere più ricchi.



La saluto cordialmente.

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