Se c’è un immagine che descrive con efficacia la modalità con cui il bisogno di conoscere si manifesta nei ragazzi che, nella scuola media, si affacciano alle soglie dell’adolescenza è quella di Morhange, il ragazzo destinato a diventare un grande pianista nel film Les Choristes, che guarda con atteggiamento di desiderio e di resistenza ad un tempo da dietro la colonna i compagni del coro guidati dal maestro Pepinot, che alla fine lo coinvolgerà, spingendolo a far emergere la dolcezza infinita del suo canto.



Ho trovato una singolare sintonia fra questa scena ed un passaggio di un tema di un ragazzo di terza media, che mi sono trovata a leggere con un’insegnante, in cui egli descriveva i sentimenti contraddittori provati nella giornata di Open Day della scuola: «Mi ero messo in testa che avrei soltanto guardato e non avrei agito. Ma non ero contento. Ci sono dei momenti nella testa di noi adolescenti in cui non vogliamo fare una cosa, anche se sappiamo che la vogliamo fare, in fondo. Ci si “ingarbuglia” la testa e allora andiamo in confusione. Io ero in quella situazione. Me ne sono accorto passando tra le classi, guardando i miei compagni che si preparavano. Si divertivano. Tutte  le aule erano fantastiche: i cartelloni e i modellini erano belli e interessanti! Ma cinque minuti prima dell’inizio ero rimasto solo nel corridoi. Solo. Allora mi sono chiesto cosa stavo facendo. In quel momento  uscì la prof… che mi “accolse” nella sua aula».



Non è rifiuto della realtà, ma vertigine di fronte a una totalità del mondo che si rivela nel momento in cui si comincia a percepire la propria individualità: come dice Maria Zambrano, “se l’adolescente combatte con ciò che gli sta intorno è perché lo fa con se stesso, perché non ha potuto ordinare il caos che nella sua anima risveglia la rivelazione della totalità della vita”.

In entrambi gli esempi la realtà viene incontro con un fascino (una pro-vocazione) che si riverbera nell’esperienza dei compagni, ma non basta a muovere intelligenza e volontà, se non subentra uno sguardo che incoraggia e rassicura sulle proprie possibilità. Per questo diventa molto importante, soprattutto nella scuola media, cercare di costruire esperienze, in cui la pro-vocazione a “mettersi alla prova” insieme ai compagni in un percorso di conoscenza approdi ad una realizzazione concreta e riconoscibile.



Gli Open Day sono, in questo senso, un momento privilegiato soprattutto in quelle aule in cui si percepisce che i ragazzi si sono sentiti protagonisti di un percorso che trova nell’allestimento finale il suo momento di sintesi e di esplicitazione di consapevolezza, secondo modalità che spesso sorprendono non solo i visitatori, ma noi stessi che pure li avevamo pensati ed attivati.

Esemplificherò con l’aula che nell’Open Day di quest’anno più mi ha colpito, per il clima che vi si respirava fin dal pomeriggio dell’allestimento: quella sulla “città ideale” allestita dai ragazzi di seconda media come conclusione di un percorso guidato dagli insegnanti di Lettere, Arte e Tecnologia. Lo spunto era nato, nella programmazione di inizio anno, dal desiderio di far comprendere attraverso una modalità adeguata alla categorialità dei ragazzi il passaggio dal Medioevo al Rinascimento.

 

I passi del percorso sono stati volti a favorire alcuni atti del conoscere fondamentali a questa età: osservare, denominare, paragonare, immedesimarsi.

 

1. Si è partiti da un confronto fra gli affreschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti e il dipinto della “Città ideale” di anonimo conservato ad Urbino. I ragazzi sono stati accompagnati attraverso un’analisi attenta a cogliere come negli affreschi di Siena gli uomini della città medievali, colti nella varietà delle loro occupazioni, si protendono verso una dimensione ideale di convivenza, in cui ognuno è impegnato alla costruzione di uno spazio dominato da bellezza ed armonia. Nello spazio sospeso del dipinto quattrocentesco, invece, l’assenza della figura umana accentua la percezione di uno spazio nato dalla mente dell’uomo come spazio “perfetto”, in cui l’uso rigoroso della geometria crea simmetria, proporzione, armonia assoluta.

 

2. A questo punto sono scattate le fasi in cui i ragazzi sono stati coinvolti in forma più concreta, a partire dall’analisi e dalla copia di alcuni dei modelli di città ideale elaborati dai teorici rinascimentali, a partire dalla pensata e mai realizzata Sforzinda del Filarete. I ragazzi, riproducendo i modelli, hanno fatto propria soprattutto il ruolo di formalizzazione ideale sviluppato dalla geometria in tali elaborazioni.

 

3. È arrivata poi la visita a Pienza, tentativo di realizzazione della città ideale,come espressione del sogno di Enea Silvio Piccolomini, divenuto Pio II. I ragazzi si sono mossi in questo spazio, voluto come spazio “perfetto”, assaporandone il fascino e prendendo atto dal vivo di tutte le soluzioni adottate per inserirlo nella viabilità precedente ed armonizzarlo, ma anche delle “forzature” (sconfinamento dell’abside su un banco di argilla inclinato…).

4. Al ritorno si è aperto il laboratorio di elaborazione della propria città ideale. Ad ognuno è stata data una pagina di atlante stradale, chiedendo di collocare in un punto scelto il loro progetto elaborato su cartoncino e ritagliato, fornendone una sintetica illustrazione. I risultati in alcuni casi sono stati sorprendenti, a partire dalla capacità di tradurre in un modello che avesse certe caratteristiche formali di armonia e proporzione geometriche il loro desiderio (es. Laurenzia, dedicata alla madre, circolare, attraversata dal Po, con sei strade che convergono verso la piazza centrale con Cattedrale, Municipio ed Ospedale, a nord area tempo libero, a sud servizi, a est e ovest quartieri residenziali).

 

5. Infine l’allestimento della mostra per l’Open Day, che si è rivelata uno spettacolo soprattutto nella vivace coralità della preparazione in cui si esprimeva l’idea di una condivisione guidata dello scopo e nell’energia comunicativa che i ragazzi hanno rivelato di fronte ai visitatori.

 

Questo il giudizio di uno degli insegnanti: “l’esperienza dell’Open Day ha messo alla luce la vera sensibilità e umanità di alcuni ragazzi di IIA nel momento in cui è diventato un lavoro loro. Non era sufficiente avere disegnato disposizioni, pannelli e bozzetti. Piuttosto andava verificata in loco la fattibilità dell’allestimento del cantiere del quale non era possibile conoscere gli esiti. E forse non me ne importava nemmeno troppo, perché vedevamo che alcuni ingranaggi della macchina scenica stridevano tra loro: i cartoni, sui quali erano affisse le immagini e didascalie, difficilmente riuscivano a mantenersi in piano, le plance erano poco rigide e di facile inciampo, la luce non permetteva la proiezione del video di apertura, etc. La programmazione era necessaria e funzionale ma non l’unico strumento per arrivare all’opera. Noi ci aspettavamo qualcosa di più, che è venuto dalla sorprendente responsabilizzazione di ognuno dei ragazzi. In tutto il lavoro, dal gesto più piccolo fino al tenersi le mani incrociate per attendere qualche indicazione, ognuno ha messo a nudo le proprie abilità e debolezze ed ha partecipato per rendere grande il tema della Città ideale. Mi piace ricordare che in questo esempio di lavoro fatto con gli studenti, è emersa soprattutto l’importanza per i ragazzi del vedere i risultati della loro fatica prendere forma concreta. In questo ho percepito un’utilità che derivava soprattutto dalla coscienza con cui si lavorava. Partendo da sé stessi, e prendendo coscienza del proprio desiderio di essere protagonisti e attori della mostra, questi ragazzi non hanno, in primo luogo, tradito il loro cuore”.

 

Esso trova corrispondenza e completamento nelle parole di uno dei ragazzi: “Tutto il lavoro svolto sulla Città ideale per me non è stato facile, ma grazie all’aiuto dei prof. sono riuscito a capire e mi sono divertito. È come se mi fossi immedesimato in un architetto dell’epoca. La cosa che mi ha colpito di più all’Open Day, poi, è stato che ogni cosa studiata, che mi aveva affascinato, colpiva chi la scopriva attraverso di me”.

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