Cala il numero di iscritti nelle università italiane. In particolare, il crollo delle immatricolazioni riguarda le università pubbliche che risentono complessivamente di un -5%
Sono sempre di meno i giovani che decidono di continuare gli studi e iscriversi all’Università. Il Consiglio universitario nazionale (Cun) ha registrato un significativo calo di immatricolazioni nell’Università pubblica. Nell’ultimo anno sono state il 5 per cento in meno rispetto a quello precedente, ovvero 3.986 nuovi iscritti in meno rispetto al 2009. Un trend più accentuato se si guardano agli ultimi 4 anni, in cui la percentuale di iscritti agli atenei è piombata del 9,2 per cento, che significa ben 26 mila studenti in meno.
Le università private, al contrario, hanno incrementato i propri iscritti del 6,6 per cento. Un dato, quello delle università pubbliche, in controtendenza con quello relativo ai diplomati che, nell’ultimo anno ha registrato un + 0,9%. In controtendenza gli istituti privati che nel 2010 hanno registrato il 2% in più di immatricolazioni, coprendo il 6,6% dei nuovi iscritti totali in Italia. Il calo delle immatricolazioni è più accentuato al sud, con -6,9% e al Centro Italia, con -5,4%. Complessivamente nel 2010 hanno deciso di continuare gli studi all’università solo 6 neodiplomati su 10 (il 62%, a fronte del 66% nel 2009, del 65% nel 2008 e del 68% nel 2007).
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E’ solo dello 0,5% il calo nel Nord ovest, e del 3,2% nel Nord est. Sono, in particolare, gli atenei piccoli e quelli medi e risentire del crollo. Diminuiscono, in particolare, gli iscritti nelle facoltà umanistiche passando al 16,8% delle immatricolazioni totali del 2010 contro il 17,1 dell’anno prima. Rimangono, invece, stabili, le iscrizioni alle facoltà sanitarie, dato il numero chiuso mentre, oltre agli atenei privati, hanno implementato gli iscritti gli atenei di Enna, Aosta e Bolzano che hanno registrato un +2% rispetto al 2009.
«L’università pubblica italiana – è il commento di Andrea Lenzi, presidente del CUN – si contrae, oggi abbiamo meno studenti e quindi avremo meno laureati. Questo è certamente un grave danno anche di fronte ad un presente e soprattutto ad un futuro basati sulla conoscenza dove la capacità d’innovare è diventata motivo di sopravvivenza per i paesi industrializzati».