Al termine dell’articolo, le slides presentate dal prof. Giorgio Vittadini al convegno L’università possibile: esperienze in atto venerdì 8 aprile alla Camera dei deputati

Varata la legge di riforma dell’università alla fine del 2010 e spenti i riflettori mediatici che ne hanno accompagnato l’approvazione, del destino dell’università sembrava non importasse più nulla a nessuno. Forse neanche a chi questo ambizioso processo riformatore l’aveva messo in moto con tanta determinazione, salvo poi, una volta approvata la legge, dimenticarsi che il vero lavoro doveva ancora cominciare.
In effetti, stando alla legge, per dare piena esecuzione alla riforma occorrono quasi 50 provvedimenti normativi di attuazione tra decreti legislativi, decreti ministeriali e interministeriali, regolamenti. Di questi, a quanto ci è dato sapere, solo il regolamento per la nuova abilitazione scientifica nazionale ha già tagliato il traguardo.
Nel frattempo, in tutti gli atenei italiani è in corso – non senza difficoltà e resistenze – il processo di adeguamento degli statuti (la “carta fondamentale” che regola l’organizzazione e il funzionamento degli atenei) alle nuove disposizioni legislative. E poco importa se, anche qui, non sono stati approvati i decreti ministeriali che avrebbero potuto consentire di sperimentare strade di riorganizzazione della struttura degli atenei più funzionali alle reali esigenze di ciascuna università. La parola d’ordine è cambiare. Il come e il perché sembrano secondari.
In questo contesto qualcuno ha provato a chiedersi dove stia andando la nostra Università e quali siano i nuovi scenari che si profilano all’orizzonte. E lo ha fatto, significativamente, presso la Camera dei deputati, e cioè proprio nel luogo in cui, negli ultimi tempi, al centro del dibattito politico più che gli interessi del Paese sembra esserci stato uno scontro ideologico e rissoso tra fazioni.
Promotori dell’iniziativa, dal titolo L’università possibile: esperienze in atto l’associazione di docenti Universitas-University e la Fondazione per la Sussidiarietà. Il dibattito ha visto la partecipazione di più di 200 persone tra rettori, docenti universitari, ricercatori, tecnici del Miur, dottorandi e studenti, oltre al Ministro Gelmini.



Il compito di dettare l’agenda dei lavori è stato affidato al primo relatore del mattino, il Prof. Giorgio Vittadini dell’università di Milano Bicocca. Dopo aver tracciato il quadro sullo stato dell’arte del nostro sistema universitario, Vittadini ha proposto agli altri relatori di pronunciarsi riguardo ad alcuni temi prioritari:
1. Il primato della persona. L’università non può dimenticare lo scopo per cui esiste, cioè la generazione di un soggetto critico e consapevole, capace di cultura e di storia. “Quanto più avremo presente questo scopo” – dice Vittadini – “tanto più saremo in grado di disegnare regole di funzionamento dell’università funzionali al futuro delle giovani generazioni e del Paese”.
2. Il finanziamento dell’università e della ricerca è un investimento e non una spesa. Occorre cambiare mentalità al riguardo e assicurare, in forza di questa consapevolezza, finanziamenti crescenti al sistema. Inoltre, per garantire una spesa più efficace occorre passare dal finanziamento dell’offerta a quello della domanda e mettere così gli studenti nelle condizioni reali di poter scegliere liberamente dove andare a studiare. In questo modo si potrebbe anche innescare una sana competizione tra le università.
3. Internazionalizzazione: se c’è la cosiddetta fuga dei cervelli vuol dire che le nostre università – con buona pace di tutti – sono in grado di formare persone preparate e critiche, capaci di ottenere ottimi risultati nel campo della ricerca. Il problema non è tanto che i giovani italiani vadano anche all’estero, ma piuttosto come far sì che il flusso di scambio con l’estero di giovani brillanti sia positivo per l’Italia.



4. Valutazione e Anvur. A breve (dal ministero si dice il 20 aprile) entrerà finalmente in funzione l’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca: è un passaggio fondamentale perché la valutazione costituisce innanzitutto la capacità di un sistema di prendere coscienza di se stesso e di procedere per obiettivi. Ma non bisogna dimenticare che la valutazione della ricerca è un processo lungo e complesso (basti ricordare che il CIVR in oltre dieci anni di vita ha svolto un solo esercizio di valutazione e con tempi lunghissimi) e che, pertanto, occorre mettere l’Agenzia nelle condizioni (economiche e strutturali) di poter realmente funzionare.
Anche gli studenti possono giocare un ruolo fondamentale in questo processo, non tanto come meri fruitori di un servizio, ma in quanto protagonisti dell’università. In un certo senso quando sono nate le prime università gli studenti, scegliendo i docenti migliori, erano essi stessi una sorta di Anvur del medioevo.
Su questi (e molti altri) temi i relatori successivi (ministro, rettori, docenti, studenti, politici, tecnici del ministero) sono stati invitati a confrontarsi, anche con l’aiuto degli interventi di diversi docenti presenti che hanno mostrato una positività di esperienza già in atto, pur tra tante difficoltà.
È stata una giornata di lavoro vero venerdì a Roma. Non una passerella o un esercizio retorico, ma il tentativo di mostrare un’università diversa: un confronto aperto al dialogo con tutti, ma che non ha rinunciato ad un giudizio serrato sulla realtà. Un’università che – prima di ogni analisi – è fatta di presenze in carne ed ossa, di persone che non hanno rinunciato al loro desiderio di bene e di costruzione e che, perciò, non si stancano di lavorare e di avanzare proposte per il bene di tutti.