La prima reazione, comprensibile, per molti è stata di sdegno. Ma come? Un reality show con i professori precari come protagonisti? Una trasmissione tv come se fossero un fenomeno da baraccone? E perché? Per spettacolarizzare il loro dramma? Per speculare sulla loro disperazione con la solita lotteria della fortuna? Per di più proprio in questi giorni, mentre si discute della valanga di ricorsi presentati nei tribunali di tutta Italia per far giustizia del loro sacrosanto lavoro?
Non l’hanno preso bene – i docenti precari e non solo loro – l’annuncio di una importante rete tv dell’avvio di un casting, di un reclutamento di prof rimasti senza lavoro, per un reality show in cui tenere a bada e cercare di istruire una classe formata da un gruppo di vip piuttosto ignoranti. In palio la possibilità di incassare in un solo colpo 150mila euro, cioè all’incirca dieci anni di stipendio.
Apriti cielo. La rabbia, circolata su internet, è rapidamente montata. Uno schiaffo morale, hanno replicato le associazioni di categoria. Una offesa a chi ha contribuito finora ad assicurare il diritto all’istruzione, hanno commentato altri. E poi gruppi su facebook pronti a boicottare il reality, ancora prima che sia messo in onda, gente disgustata e sgomenta, processi e accuse di sfruttamento. Si sono mobilitate persino le più autorevoli firme della critica televisiva per prendere posizione, per ricordare che il reality è per se stesso “uno di quei rituali pubblici con cui la nostra società finge di parlarsi e mettersi in discussione e dove ogni gesto appare autenticamente inautentico”.
Vista la delicatezza dell’argomento, sarebbe stato difficile che non fosse andata così. Anche se poi non è impossibile prevedere che il casting, se effettivamente verrà portato avanti, sarà subissato di richieste, avrà un successo inaspettato e ci saranno schiere di docenti precari che cercheranno di assicurarsi – come si dice – un posto al sole. Come accade regolarmente nei casting di ogni spettacolo tv. Perché il disgusto, sì, lo condividi, le critiche le capisci, ma alla fine vuoi mettere perdersi l’occasione?
Il problema in realtà è più complesso. E se è appunto comprensibile reagire a pelle, d’istinto, con un senso di fastidio, più giusto è cercare di capirci di più, senza cedere a fin troppo facili moralismi. E chiedersi, ad esempio, come mai possa venire in mente a qualcuno di fare una trasmissione tv con docenti precari tra i protagonisti. Come minimo, si può ipotizzare che abbia intravisto la possibilità di attirare l’attenzione di un certo pubblico, di realizzare un programma che abbia un qualche seguito. Usiamo la parola giusta: che ci sia insomma un mercato pronto a recepire il nuovo prodotto.
E qui, forse, sta il punto: è la tv che influenza la società o è la società che influenza la tv? È la tv che crea, che inventa il nuovo prodotto e lo impone al telespettatore, o il prodotto nuovo nasce perché risponde a un bisogno della gente, perché il mercato è pronto, lì, ad attenderlo e forse anche a cercarlo? Difficile dire, anche se molti avranno certamente la risposta pronta e sapranno spiegarci, con dovizia di ragioni, com’è che stanno davvero le cose.
Molti dicono che la tv è lo specchio della società. È una tesi dura, ma che ha un certo fondamento. Se fosse vera, sarebbe però poco comprensibile strapparsi le vesti di fronte a iniziative come questa. Bisognerebbe piuttosto lavorare per ricostruire un tessuto sociale diverso. È sempre poco ragionevole demonizzare qualcosa e non comprendere quello che ci capita attorno.