Si conclude con questo articolo la riflessione di Dario Nicoli sul tema delle competenze. Gli articoli precedenti sono usciti su ilsussidiario.net il 29 marzo, il 6 e il 15 aprile.

Una valutazione attendibile – Le competenze, come abbiamo visto, non sono dei saperi, dei saper-fare o delle attitudini, ma padronanze in base alle quali la persona è in grado di mobilitare, integrare ed orchestrare tali risorse. Questa mobilitazione è pertinente solo entro una situazione reale (o simulata); ogni situazione costituisce un caso a sé stante, anche se può essere trattata per analogia con altre situazioni già incontrate. L’esercizio della competenza passa attraverso operazioni mentali complesse, quelle che permettono di determinare (più o meno coscientemente e rapidamente) e di realizzare (più o meno efficacemente) un’azione relativamente adatta alla situazione.
In base a ciò, è incongruo ritenere che la valutazione delle competenze si svolga attraverso la somma algebrica di voti conseguenti a verifiche aventi per oggetto conoscenze ed abilità, attuate in modo inerte ovvero slegate da un compito-problema contestualizzato, perché questo modo di procedere non consente di esprimere un giudizio sulla capacità della persona di mobilitare le risorse a disposizione a fronte di compiti-problema reali, fattore che costituisce il cuore di una valutazione attendibile. È quindi indispensabile che la valutazione segua una didattica per competenze; questa è svolta tramite unità di apprendimento (Uda), caratterizzate dall’insieme di occasioni che consentono allo studente di entrare in un rapporto personale con il sapere, affrontando compiti che conducono a prodotti di cui egli possa andare orgoglioso e che costituiscono oggetto di una valutazione attendibile.
Tre sono pertanto gli elementi fondamentali per la descrizione di una competenza: i tipi di situazione di cui essa dà una certa padronanza; le risorse che mobilita, saperi teorici e metodologici, attitudini, saper-fare e competenze più specifiche, schemi motori, schemi di percezione, di valutazione, di anticipazione, di decisione; la natura degli schemi di pensiero che permettono la sollecitazione, la mobilitazione e l’orchestrazione di risorse pertinenti, in situazione complessa e in tempo reale. A differenza della valutazione di conoscenze ed abilità, la valutazione di una competenza richiede l’analisi della dimensione da valutare, la scelta di criteri di valutazione, gli strumenti di valutazione, i livelli di prestazione.



Tale approccio necessita di un quadro di dimensioni che possono essere riferite:
a) allo schema cognitivo (collegare situazioni, fatti, impostare la risoluzione di problemi, creare collegamenti, eseguire confronti, sintetizzare…);
b) allo schema operativo (applicazione di regole grammaticali, di sequenze di operazioni…);
c) allo schema affettivo e relazionale (esprimere motivazione, curiosità, empatia…);
d) allo schema sociale (comunicare, lavorare in modo cooperativo, assumere responsabilità…);
e) allo schema della metacognizione (riflettere e trasferire).



È rilevante in questo tema il riferimento ad EQF – il sistema europeo di classificazione delle competenze – perché illustra in modo univoco i risultati dell’apprendimento, pone al centro dell’apprendimento le competenze, propone una relazione “attiva” tra competenze, abilità e conoscenze, valorizza allo stesso tempo i risultati di apprendimento formali, non formali ed informali. Un tale sistema richiede l’adozione di un modello rigoroso e fondato di valutazione, convalida e riconoscimento dei risultati di apprendimento delle competenze e dei saperi, in modo da porre in luce le relative evidenze della competenza ed i relativi livelli di padronanza da parte della persona che ne è titolare.
Sulla base di quanto detto, si può delineare nel modo seguente il processo di valutazione, distinto in quattro fasi: previa, formativa, finale o accertativa, infine attestativa e certificativa:



La valutazione finale avviene tramite prove pluri-competenze (sempre sulla base delle rubriche di riferimento) collocate in corrispondenza delle scadenze formali dei corsi (quando vengono rilasciati titoli di studio) e che consente di rilevare in forma simultanea, sulla base di un compito rilevante, la padronanza di più competenze e saperi da parte dei candidati.
La prova di valutazione finale, o “prova esperta” concorre, assieme alle attività di valutazione di tipo formativo che si svolgono al termine di ogni Uda, a rilevare il patrimonio di saperi e competenze – articolati in abilità, capacità e conoscenze – di una persona, utilizzando una metodologia che consenta di giungere a risultati certi e validi.
L’utilizzo della prova di valutazione finale (prova esperta) richiede necessariamente che l’attività di apprendimento venga svolta secondo la metodologia delle Unità di apprendimento, centrate su compiti e prodotti. Infatti l’insegnamento non è inteso, nel contesto dell’approccio per competenze, come una “successione di lezioni”, ma come organizzazione e animazione di situazioni di apprendimento orientate ad attivare la varietà delle dimensioni dell’intelligenza indicate nella tabella sottostante: affettivo-relazionale-motivazionale, pratica, cognitiva, riflessivo-metacognitiva e del problem solving, tutte in un continuum dinamico tra loro.
La prova esperta si caratterizza per questi aspetti: è un compito aperto e problematico, che richiede allo studente l’attivazione della capacità di stabilire collegamenti, di ricavare da fonti diverse e da più codici informazioni anche implicite, di affrontare l’analisi di un caso o di risolvere una situazione problematica e infine di giustificare le scelte praticate e il percorso svolto. È dunque una manifestazione in itinere della capacità (e della competenza chiave europea) di imparare a imparare, espressa in contesti ancora limitati e alla portata dello studente, ma capace di porlo nella condizione di attualizzarne gli atteggiamenti in modo che possano diventare oggetto di valutazione. È un atto individuale, che conclude percorsi nei quali i medesimi atteggiamenti si erano manifestati soprattutto in ambiente cooperativo. Richiede da parte dei docenti (e la formulazione al plurale è d’obbligo perché questo tipo di prova è sempre interdisciplinare) l’individuazione anticipata di criteri di valutazione consoni.

Per una certificazione “onesta” – L’azione di certificazione rappresenta un’azione complessa, tesa a soddisfare i seguenti criteri: la comprensibilità del linguaggio, che deve riferirsi – in forma narrativa e non quindi con linguaggi stereotipati – a locuzioni e sintagmi che consentano ai diversi attori di visualizzare le competenze; l’attribuibilità delle competenze al soggetto con specificazione delle evidenze che consentano di contestualizzare la competenza entro processi reali in cui egli è coinvolto insieme ad altri attori; la validità del metodi adottati nella valutazione e validazione delle competenze stesse, con specificazione del loro livello di padronanza.
Un certificato siffatto necessita di una raccolta dei prodotti più significativi realizzati dalla persona valutata. Si tratta del portfolio, ovvero una  raccolta significativa dei lavori dell’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo rendimento e del suo progresso. Consente di capire la storia della crescita e dello sviluppo di una persona corredandola con materiali che permettono di comprendere “che cosa è avvenuto” lungo il percorso formativo. È elaborato dall’allievo che è chiamato a scegliere i lavori di cui va più orgoglioso, accanto a quelli che, d’intesa con i docenti, risultano significativi al fine di documentare i suoi progressi nell’apprendimento. Tra i lavori documentabili vi sono anche quelli realizzati in alternanza. Possono essere rilevanti anche gite, tornei, eventi purché gestiti in chiave formativa.

La certificazione – riferita ad ogni studente e svolta dall’intera équipe dei docenti-formatori – si svolge nei seguenti modi:
1. si riportano le competenze indicate in ciascuna delle rubriche e corrispondente Uda;
2. si indicano le situazioni di apprendimento più significative traendole dal portfolio e dall’attività didattica;
3. si attribuisce il livello della competenza (se positivo), specificandone il grado ed eventualmente altre informazioni utili, sotto forma di note.

La certificazione è onesta quando il consiglio di classe evita la tentazione di “barare” trasponendo i voti delle discipline sotto l’elenco delle competenze, ma indica effettivamente le prove reali ed adeguate della padronanza dello studente, ovvero ciò che sa fare con ciò che sa. In questo modo il giudizio risulta fondato ed attendibile, ed indica la capacità della persona di fronteggiare in modo adeguato i compiti e i problemi che sono propri del suo ambito di studio, oltre che della cittadinanza intesa in senso lato.

La formazione di persone competenti rientra nel più ampio compiti educativo della società. Hannah Arendt ha espresso nel testo Vita Activa una definizione assolutamente convincente circa tale compito: «Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità». (4 – fine)