Nelle scuole superiori, alla loro prima prova Invalsi, non pochi insegnanti si informano: la curiosità, la responsabilità verso i propri studenti e le famiglie, che comunque attendono con interesse ed ansia pari a quelli dei loro figli, una qualche positività di fronte alle cose, tutto ciò in moltissime situazioni riesce a vincere il multiforme tam tam negativo. I loro ragazzi sono già vaccinati perché due anni fa hanno passato la Prova Nazionale dell’esame di Stato, e questa volta il test nemmeno “fa voto”. Del resto, non serve addestrare i ragazzi con simulazioni che stressano. Basterebbe ricordare il fatto che le 4 alternative della risposta multipla sono tutte plausibili (e quindi richiedono ragionamento), allertarli sui tipi di quesito e sulla consegna del tempo: su quest’ultimo punto giova sapere che anche i tempi vengono pre-testati, quindi si potrebbero informare i ragazzi del fatto che “la maggioranza dei ragazzi ce la fa” in quel dato tempo, piuttosto che dire loro che “devono” farcela.
Piuttosto, è opportuno che gli insegnanti sappiano che cosa viene testato. La grammatica, per esempio, viene testata due volte: per gli aspetti di coesione che contribuiscono alla comprensione del testo, all’interno della prima parte, e nella seconda con quesiti indipendenti sulla lingua. Molti insegnanti si aspettano dall’Invalsi quesiti nozionistici, ma qui invece, come anche per la matematica, sembra di respirare aria in parte diversa.
Nel Quadro si dice che la seconda parte della prova fa riferimento non solo alla descrizione esplicita del sistema della lingua, ma anche “al suo uso corretto in contesti frasali vincolati”, essendo l’italiano lingua veicolare per tutti gli apprendimenti: non si concepisce quindi la grammatica come un sistema autoreferenziale, ma come strumento fondamentale anche per la comprensione e la produzione. Tanto per dire, negli esempi per la scuola secondaria di II grado troviamo un quesito sulla gerarchia della frase complessa, indispensabile per la comprensione, e non l’analisi del “nome” delle frasi subordinate.
Infatti “le domande privilegiano la capacità di analisi funzionale e formale, e la capacità di corretto utilizzo, rispetto a una classificazione astratta e fine a sé stessa”. Per riconoscere le categorie del lessico – o parti del discorso – è necessario un criterio che le individui anche per la funzione sintattica che svolgono nella frase: altrimenti omofoni come l’articolo la e il pronome la non sarebbero distinguibili.



Un’ottica non parcellizzante si ripresenta anche là dove viene detto che il sistema della lingua “viene comunemente descritto secondo diversi livelli di osservazione (microlinguistici e macrolinguistici)”, ma che “nella comunicazione essi operano congiuntamente”. Oltre ai livelli morfosintattico, lessicale e fonologico-grafico, vengono individuati i livelli pragmatico-testuale (legato alla comunicazione e ai suoi scopi) e logico-semantico (legato ai vincoli di significato e di coerenza). Ancora negli esempi per la scuola secondaria di II grado troviamo un esercizio non finalizzato all’individuazione di un pronome (ne), bensì alla esplicitazione dei suoi diversi significati. Se siamo abituati alla classica distinzione fra analisi grammaticale, logica e del periodo, con la sua impostazione tutta basata sulle definizioni, questa è una novità che apre vie nuove a livello di metodo didattico.
L’oggetto della parte di grammatica della prova dunque non è esclusivamente il metalinguaggio grammaticale (ricordate la “subordinata-concessiva-introdotta-da-congiunzione” del Diario di scuola di Pennac?), a cui spesso di fatto si riduce. Anzi ci sono domande di vari tipi, in cui un termine grammaticale specifico può comparire, nella domanda o nella risposta, ma può anche non esserci. In questi casi “a partire da un contesto dato, si richiedono operazioni di trasformazione, sostituzione, integrazione, ecc.”.
Non può non colpire la convergenza di questo sdoganamento dell’innovazione nel campo dell’insegnamento della grammatica con la chiara formulazione della riforma dei licei: “L’osservazione sistematica delle strutture linguistiche consente allo studente di affrontare testi anche complessi, presenti in situazioni di studio o di lavoro. A questo scopo si serve anche di strumenti forniti da una riflessione metalinguistica basata sul ragionamento circa le funzioni dei diversi livelli (ortografico, interpuntivo, morfosintattico, lessicale-semantico, testuale) nella costruzione ordinata del discorso”. Al punto che si raccomandano “attività che promuovano un uso linguistico efficace e corretto, affiancate da una riflessione sulla lingua orientata ai dinamismi di coesione morfosintattica e coerenza logico-argomentativa del discorso, senza indulgere in minuziose tassonomie e riducendo gli aspetti nomenclatori”.



Del resto, nella linguistica ormai da un buon secolo è in atto un mutamento sostanzioso: il Quadro ne prende atto là dove riconosce, seppur in modo molto cauto e moderato, che esiste “una pluralità di modelli teorici a cui si fa riferimento per la descrizione delle lingue” (vengono citati: Renzi-Salvi-Cardinaletti 2001, Prandi 2006, Serianni 2006, Schwarze 2009) “e di conseguenza per l’insegnamento della grammatica” (si fa riferimento alla grammatica valenziale e ai numerosi lavori di Sabatini). La cautela è determinata dalla varietà degli approcci teorici di cui ancora non pare esistere una sintesi didattica condivisa, ma anche dal sostanziale immobilismo del settore (v. editoria scolastica), fatti che impongono certamente “di fare riferimento, in linea di massima, ai contenuti più condivisi e alla terminologia nota alla maggior parte degli insegnanti e degli studenti”; anche se non ci deve sfuggire il riferimento alla grammatica “valenziale”, modello peraltro diffuso specialmente nel Sud Italia tramite i progetti PON Lingua.
La tabella dei contenuti testati contiene oggetti noti e assodati come l’ortografia, la formazione delle parole, il lessico, la morfologia, la sintassi, ma anche qualche cenno alla pragmatica. Inoltre nella descrizione dei fenomeni grammaticali si dice che verrà utilizzata la terminologia specifica più condivisa nella pratica didattica, ma con l’inciso “ove possibile”. Dove proprio non è possibile un paio di termini nuovi vengono inseriti, non senza un opportuno chiarimento in due note alla tabella.
La prima nota riguarda la “frase minima”, di chiara ascendenza valenziale: “Per frase minima si intende una frase costituita dal verbo e da tutti gli ‘argomenti’ richiesti dal suo significato, esempio: Piove; Il gatto dorme; Il papà compra il giornale; Mia cugina abita a Cagliari; La zia ha regalato la bicicletta al nipote. La frase semplice è costituita da un solo verbo/predicato e da complementi di vario tipo, esempio: Mio zio guarda sempre la televisione in poltrona. L’altra nota riguarda i “connettivi”, nozione derivante dalla linguistica testuale: “Con ‘connettivi’ si indicano le congiunzioni, gli avverbi, le locuzioni avverbiali o di altro genere, alcuni verbi, i segni di interpunzione che hanno la funzione di segnalare legami di coesione. Si utilizza questa denominazione più ampia per identificare una funzione sintattico-testuale e non una categoria lessicale”.



La grammatica resta in linea di massima quella che conosciamo, con i suoi oggetti e i suoi livelli di analisi, ma cambiando lo scopo essa perde molta della sua staticità e astrazione. È largamente condiviso dalla comunità scientifica e da chi si occupa a livello universitario di studi linguistici che la grammatica possa servire a ragionare, a parlare e a scrivere in italiano (è il sottotitolo della Grammatica edita da Bulgarini), e che per raggiungere questi suoi scopi possa e debba attrezzarsi in modo un po’ più “sfidante”, per i prof, che non di rado dichiarano esplicitamente la loro noia nell’insegnare grammatica, e per gli alunni. La grammatica può riservare grandi sorprese, perché portando dalle forme ai significati e viceversa mette in movimento il ragionamento sulla base di dati reali: come dice Chesterton, citato su queste colonne: “Egli (H.G. Wells) credeva, penso, che lo scopo dell’aprire la mente fosse semplicemente di aprire la mente. Mentre io sono incurabilmente convinto che lo scopo dell’aprire la mente, come dell’aprire la bocca, sia di richiuderla su qualcosa di solido”.
Ciò detto, qualunque cosa pensino i colleghi delle prove Invalsi, sarebbe un peccato non valorizzare lo sforzo compiuto nella direzione di un sapere “solido” e “secondo ragione”. Nonostante le frequenti denigrazioni (non giustificate), come per la matematica come “adaptive reasoning”, il bello della grammatica è il ragionamento sui dati, non l’acquisizione di un sapere statico basato su procedure routinarie, come a scuola qualche volta avviene, anche se non ci fa piacere. In questo senso, come è stato ricordato da Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera, l’operazione Invalsi ha motivi di interesse molto più ampi di quelli aspramente criticati da un certo settore della scuola.

P.S. Segnalo che sul sito Ansas Lombardia nella pagina da me curata si trovano le interviste a Prandi e al traduttore di Schwarze (nella pagina di apertura), oltre al materiali del corso sulla grammatica valenziale (nel link corso Sabatini).