Che la matematica insegni a ragionare è ormai un giudizio assai diffuso nel contesto culturale italiano. È anche l’argomento più convincente che si adduce per sostenere la necessaria presenza, all’interno dei più diversi percorsi scolastici, di una materia vissuta, da tanti studenti, come ostica e arida.

Forse, però, sarebbe più corretto affermare che la matematica non insegna tanto a ragionare, quanto piuttosto a divenire consapevoli dei propri ragionamenti: ciascuno di noi ragiona per natura e anche i bambini piccoli mostrano questa capacità, espressa talvolta in maniera mirabile, senza che nessuno l’abbia loro espressamente insegnata.



Divenire coscienti del proprio pensiero,  renderne conto sul piano verbale, comunicare passi ed esiti delle proprie riflessioni è un passaggio più delicato, su cui si instaura anche l’attuale dibattito relativo a struttura e risultati delle Rilevazioni degli Apprendimenti somministrate dall’Invalsi, l’Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema educativo.



Tra pochi giorni arriverà una nuova tornata delle annuali prove nazionali e puntualmente si riapre il dibattito: risposte chiuse, risposte aperte, confronto tra le performance dei ragazzi italiani e quelle ottenute dai coetanei europei. I deludenti risultati dei nostri ragazzi nei test internazionali vengono spesso attribuiti alla scarsa abitudine della scuola italiana al multiple choice. In realtà, i nostri studenti mostrano le maggiori difficoltà quando non basta individuare la risposta corretta, ma occorre dominare i procedimenti logici, sapere perché si è arrivati a una certa soluzione.



Lo conferma anche la Sintesi del Rapporto sulle Prove Invalsi per le V Superiori: “le maggiori debolezze dei nostri ragazzi si hanno quando viene loro richiesto di argomentare, spiegare, motivare le proprie affermazioni; molte difficoltà derivano dalla incapacità di leggere, comprendere, decodificare adeguatamente testi di varia natura”. Già nei risultati delle classi del Primo Ciclo di Istruzione si vedono in nuce queste difficoltà.

Come i test che gli studenti sosterranno nei prossimi giorni possono contribuire a colmare questo gap? È risaputo ormai che le prove di Matematica predisposte dall’Invalsi prevedono domande che sono per la maggior parte a risposta “chiusa” (nelle quali si è vincolati a scegliere tra un esiguo numero di opzioni predefinite) o “falsa aperta” (in cui bisogna scrivere di proprio pugno la risposta corretta). Non sono molti i quesiti che richiedono esplicitamente di «Saper argomentare, cioè giustificare una scelta e sostenere un punto di vista sulla base dei fatti».

Tuttavia, nelle prove Invalsi le singole domande partono spesso da stimoli volutamente lontani, nella forma e nel linguaggio, dalla consueta prassi scolastica e che consentono diversi percorsi verso la soluzione. Diventa allora centrale la capacità di leggere il testo, coglierne i nessi e le richieste, prendere un’iniziativa originale in ordine al suo corretto svolgimento. Questa tipologia di quesito facilita l’abbandono dell’esecuzione meccanica degli esercizi a favore di un ragionamento che nasca nel contesto specifico della situazione problematica proposta.

La novità delle prove Invasi, dunque, non sta tanto nella forma di risposta che richiedono quanto nel tipo di attività che propongo agli studenti: a nulla servirebbe addestrare alle multiple choice se queste fossero la semplice riscrittura dei consueti esercizietti dei peggiori libro di testo.

Bisogna allora augurarsi non solo che queste prove introducano sempre più item in cui sia richiesto agli studenti di mostrare il loro lavoro (il famoso show your work tanto caro a certe ricerche internazionali) ma anche che contribuiscano a  riportare al centro della riflessione didattica in ambito matematico la peculiare natura di questa disciplina e del suo insegnamento/apprendimento.

La matematica, come attività del pensiero umano, si propone infatti agli studenti su più livelli: in primis un contenuto,  la cui natura astratta è in dialogo continuo con le molteplici applicazioni; poi un metodo, di riduzione delle conseguenze alle premesse, che è la strada per orientarsi nel contenuto; poi un linguaggio, organizzato su più registri, e l’elenco potrebbe continuare ancora.

Occorre, durante i percorsi scolastici, dare allo studente la possibilità di sperimentare con mano come la matematica insegni dei fatti, rendendone la conoscenza accessibile, e allo stesso tempo educhi e affini l’intelligenza in quanto ricerca di nessi profondi, di rimandi al senso, di slanci di apertura ad una gamma vastissima di campi del conoscere.

Questo può avvenire solo dentro un dialogo insegnante/discente nel quale sia quotidianamente chiesto ad entrambi di prendere posizione di fronte al dato (che entra così nel campo dell’esperienza – osservare le ipotesi per costruire una tesi), sostenendo la verità di ciò che si afferma sulla base di una verità che la precede (ragionando e dimostrando, quindi). Sotto questo profilo, l’archivio delle prove Invalsi può offrire un campo di riflessione utile per quei docenti e quegli studenti che vogliano gustare l’essenza della matematica: scommettere un punto di vista per diventare più consapevoli di sé e più capaci di ragionevolezza in qualsiasi ambito di rapporto con la realtà.

(Paolo Bassani)