Non abbiamo remore a raccogliere la provocazione di chi ci invita a spostare l’attenzione dalle modalità di gestione delle graduatorie a quelle che più in generale, attraverso provvedimenti in fieri, dovrebbero ridisegnare il reclutamento dei docenti. Deve però essere chiaro che le due questioni scontano tempi inevitabilmente diversi: per le graduatorie ad esaurimento le urgenze sono davvero stringenti e non consentono ulteriori attese, che appaiono viceversa inevitabili per quanto riguarda l’avvio di procedure tutte da definire e la cui disponibilità, realisticamente, non può darsi se non a partire, nella migliore delle ipotesi, dal 2012.



Ora, sono così tante e così forti le tensioni da cui la storia delle graduatorie e il loro presente sono pervasi, che davvero non si può correre il rischio di metterne in campo, magari involontariamente, di ulteriori. È dunque un bene che sia stata ribadita con chiarezza la volontà di tener conto delle aspettative di cui sono portatori gli aspiranti inclusi nelle graduatorie ad esaurimento, a partire dalla garanzia di una piena disponibilità della quota di posti che per legge è loro riservata.



Fatta questa premessa, non c’è dubbio che ripristinare la via ordinaria di reclutamento dei docenti, a oltre dieci anni dall’ultimo concorso, è una necessità ineludibile e crediamo da tutti condivisa. Sarebbe dunque auspicabile che su questo tema si aprisse quanto prima un confronto serio, non fazioso, scevro da pregiudiziali di tipo ideologico e geo-politico, ma ispirato unicamente dalla preoccupazione di assicurare alla nostra scuola un’efficace selezione delle migliori competenze professionali. Un approccio da far valere in ogni caso, quale che sia lo strumento scelto per disciplinare la materia, sia esso una legge o un regolamento attuativo di deleghe legislative tuttora disponibili.



Quello di definire un nuovo e compiuto modello di reclutamento è comunque un obiettivo da conseguire in tempi brevi. È stato da poco pubblicato il Regolamento sulla formazione iniziale dei docenti e si stanno approntando i provvedimenti finalizzati a dare avvio, col prossimo anno accademico, ai nuovi percorsi, lunghi e impegnativi (cinque-sei anni di studio a livello universitario): non è pensabile che possano rivelarsi appetibili se non si offre a chi li intraprende qualche ragionevole prospettiva di occupazione a studi ultimati. Quelle di chi rivendica una chance di accesso all’insegnamento senza essere costretto a tempi biblici di attesa sono aspettative che reclamano un’attenzione doverosa anche da parte del sindacato. Altrettanta attenzione va posta alla necessità di introdurre nel sistema energie fresche, ringiovanendo un corpo professionale la cui età media è decisamente elevata (va detto, peraltro, che a quest’ultima esigenza rispondono solo in parte le immissioni dalle graduatorie ad esaurimento, dato che l’età media di chi vi è incluso è oggi di circa 38 anni).

Il nostro impegno in questi giorni è rivolto prioritariamente alla stabilizzazione del lavoro nella scuola, per dare così risposte immediate a chi vive un’insostenibile condizione di precarietà; è un impegno condotto con determinazione, ma nella consapevolezza di quanto sia drammatica la sproporzione esistente fra una smisurata domanda di lavoro e un’offerta oggettivamente limitata. Una realtà rispetto alla quale il pur doveroso dibattito sui modelli di reclutamento non appare in grado di fornire risposte decisive.

Né il turn over, né la rinuncia – pur necessaria – a tagliare indiscriminatamente posti, potranno aprire rapidamente le porte a tutti quelli che pure avrebbero serie competenze e aspirazioni per varcarle. Diventa allora indispensabile, oltre che ragionare di reclutamento dei docenti, esplorare altre prospettive, che portino alla creazione di nuovi spazi occupazionali, ampliando l’area di quelle opportunità che oggi il solo sistema scolastico non può essere in grado di offrire.