Mine vaganti. Ho letto questa definizione dei ragazzi nell’intervista a Fiumi e ho subito avuto un sussulto. Non mi piace proprio considerarli così, lo trovo non tanto ingeneroso nei loro confronti, quanto semplicemente lontano dalla realtà.

L’analisi della situazione giovanile che emerge dalle parole di Fiumi è probabilmente condivisibile su molti aspetti: l’assenza della famiglia che demanda tutto alla scuola, una scuola da parte sua privata di risorse e immiserita, il dissolversi di maestri veri con il permanere solo dei cattivi maestri, la scomparsa di luoghi di aggregazione come gli oratori. Il quadro dipinto ci mostra ragazzi allo sbando emotivo, incapaci di connettere gli atti alle loro dirette conseguenze, ultimamente privi di pensiero. Stupidi.



Una lettura cruda, con la lente del cronista che incontra i fatti macroscopici che si sottopongono alla sua indagine e cerca di connetterli ai dati della sociologia.

Ma i ragazzi non sono così. Innanzitutto non lo sono tutti. E’ una facile tentazione quella che ci porta a generalizzare, disconoscendo la presenza di moltissimi giovani seriamente interessati alla loro questione individuale, ossia a come poter vivere bene senza censurare i desideri che si fanno strada nell’anima. E’ la moltitudine silenziosa dei giovani che a loro modo stanno resistendo al cinismo che il mondo propone loro  in ogni salsa, che si pongono domande rispetto a ciò che accade e che verificano nella loro esistenza i tentativi di risposta che incontrano. Non fanno mai notizia loro, al massimo folklore sociologico da bravi ragazzi quando serve per qualche articolo di stampa o  una telecronaca mielosa. Eppure esistono realmente, occupano tutti i giorni i banchi di scuola così come i campi di calcio, le palestre e le discoteche. Perché anche la voglia di ballare “ci sta tutta”, come dicono loro, e niente della vita vuole restare fuori.



Poi è vero che esistono anche i giovani descritti da Fiumi, quelli che ci sconcertano e un po’ ci angosciano, quelli che ci fanno scuotere la testa con la tentazione dell’indignazione. Ma anche in questo caso non dobbiamo fare l’errore di credere alla forma con cui si presentano: non è vero che sono persi e neanche che stanno bene così. A nessun ragazzo piace vivere costantemente sulla soglia della legalità, né lo soddisfa uno sballo che non basta nemmeno a se stesso. Nessuno giovane è perso per sempre.

Il fatto che abbia scelto certe vie in perdita come apparenti soluzioni, seppur inefficaci e diseconomiche, testimonia infatti la presenza di un io che di fronte a un’opzione può giudicarla e poi accoglierla o rifiutarla.



E’ da questo io che possiamo sempre ripartire, dalla risorsa del suo pensiero che può tornare ad orientare il soggetto nel proprio moto, che può permettere il passaggio da un godimento feroce e senza limiti a una soddisfazione possibile senza obiezione per l’apporto dell’altro.

Per questo proprio non ci rassegniamo a considerare i ragazzi delle mine vaganti, perché non rappresentano un pericolo da cui difendersi o da evitare, bensì soggetti pensanti su cui investire. Anche quando stanno male vibra nascostamente in loro il desiderio di star bene (al contrario di noi adulti che per lo più ci rinchiudiamo nell’orgoglio doloso e dolente della nostra patologia, sordi agli inviti a occuparci del nostro benessere): non riconoscerlo è mancare un’opportunità per loro e per noi stessi.

E non sono nemmeno una specie mutante come dice Fiumi; magari possono sembrarlo, eppure sono e restano pienamente umani anche nell’errore. Almeno noi dobbiamo ricordarcelo e, forse, ricordarglielo.