La conclusione della sperimentazione “Valorizza” (276 insegnanti premiati su 905 docenti di 33 scuole in Piemonte, Lombardia e Campania) introduce nel quadro dell’attuale politica scolastica un fattore attinente al profilo professionale del docente che fuoriesce dagli schemi tradizionali della gestione ministerial-sindacale dei posti in organico da conservare o da implementare. La discussione concerne ora la valutazione della qualità del lavoro in classe e non più soltanto la modalità con cui determinare e assegnare i posti. La fase che è stata aperta ha un rilievo ancora maggiore se si pensa che alla valutazione dei docenti si affianca l’altro progetto sperimentale, che ha iniziato il suo iter triennale, riguardante la valutazione della qualità in 77 scuole italiane (VQS). La valutazione richiede una cultura della valutazione che, nel caso della scuola, tocca questioni di capitale importanza, quali: il significato dell’insegnamento, lo scopo della comunicazione didattica, la percezione del bisogno dell’alunno.
Il progetto “Valorizza” è imperniato su un’idea di misurazione dei risultati conseguiti dai docenti, connessa a tre azioni strettamente intrecciate tra di loro: l’autovalutazione del docente singolo; il grado di apprezzamento all’interno della scuola (validato dalla cosiddetta “utenza”); la premiazione del merito professionale. La valutazione non è concepita, dunque, come fine a se stessa, ma appunto associata ad una forma di incentivazione economica, che in questa prima tornata di prove si risolverà in una mensilità di stipendio in più assegnata ai docenti selezionati (il 30% di coloro che ne hanno fatto richiesta all’interno delle scuole che hanno aderito).
Nella misura in cui l’esperimento tende alla messa a punto di un modello di rilevamento delle eccellenze professionali che non è descrittivo, ma in gran parte quantitativo (dove per “quantità” si intende una percentuale rilevante di comportamenti utili), le osservazioni, positive o negative che siano, devono centrare la fondatezza del criterio e non svicolare verso la scarsa accoglienza ricevuta dal corpo docente. Non c’è infatti una assoluta e aprioristica opposizione alla valutazione da parte dei docenti, come s’è visto. E non tanto perché il docente sia più sensibile al merito (magari anche questo, in tempi di vacche magre), quanto perché la categoria si è frammentata e le funzioni si sono estremamente diversificate.
Bene, se si esaminano le carte, ossia i materiali utilizzati per il monitoraggio delle eccellenze professionali, dalle domande fornite ai docenti per l’elaborazione delle griglie di autovalutazione emerge un profilo professionale di docente attivo, molto piegato sulla soluzione dei compiti, piuttosto che sulla costruzione, per così dire, di una propria identità umana e professionale.
Si chiede, ad esempio, se il docente sia pronto ad adeguare “il processo di insegnamento/ apprendimento ai cambiamenti dei curricola” e, ancora, se sia in grado di gestire “con successo la risoluzione dei vari conflitti che possono emergere nel gruppo classe”. Insomma, senza insistere troppo su questo excursus, pare che i meccanismi premianti si attaglino grosso modo ad una figura di docente collaborativo, che promuove progetti all’interno del suo istituto ed è efficace gestore dei processi di apprendimento degli alunni. Una figura simile coincide con l’insegnante abile fruitore e utilizzatore di metodologie didattiche (anche di matrice tecnologica) che è stimato perché promotore di iniziative che hanno una certo impatto presso i genitori (cui si chiede per esempio, nella scheda a loro riservata, se il docente usi “metodi e strumenti innovativi”) e anche presso gli alunni.
Forse non farà testo, o forse sì, ma una delle scuole i cui docenti hanno partecipato al progetto “Valorizza” (la media “Pascoli” di Valenza, in provincia di Alessandria) è stata menzionata dalla rivista Panorama per le lavagne multimediali, i computer, i corsi di pianoforte e francese.
Il docente “innovatore” è indubbiamente sensibile al merito, proprio perché si sente investito di una responsabilità che lo distingue dagli altri colleghi, senza che ciò comporti chiusure preconcette, ma appunto stimoli e capacità progettuale. In questo senso però, se il miglioramento degli apprendimenti è collegato in modo unilaterale all’attivazione di pratiche didattiche e gestionali innovative, si rischia di tagliare via (e di escludere dalla partecipazione alla valutazione) l’insegnante che aiuta gli alunni a maturare conoscenze e competenze perché è aperto ad una continua verifica dello spessore culturale della professione, intesa come insieme di legami con la realtà (i propri maestri, gli oggetti dell’insegnamento, la partecipazione a luoghi associativi) che, non meno degli atteggiamenti precedenti, comportano un percorso professionale meritevole di attenzione.
Perché non avere chiesto al docente se sia in qualche modo lui stesso protagonista di cultura professionale attraverso la coltivazione di rapporti e reti tra docenti che esulano dall’ambito del consiglio di classe o del collegio di appartenenza? E, allo stesso modo, la ricerca di una chiarezza epistemologica concernente l’oggetto del proprio insegnamento (prospettiva che vede il docente sempre inserito in una comunità disciplinare o di interesse), non è un altro tema meritevole di rilevazione?
In conclusione, oltre che sul metodo di tipo premiale (non diverso, tutto sommato, dai riconoscimenti incentivanti che sono previsti dai contratti sindacali) v’è da discutere a fondo sulla sostanza dei documenti di valutazione/ autovalutazione, al fine di riconoscere chi nella scuola lavora non solo perché “gestisce”, ma anche perché “agisce”, cioè si assume delle responsabilità verso la propria materia di insegnamento e il contesto educativo nella quale essa è inserita.
Tutto questo oggi si può fare a ragion veduta e in conformità ad un percorso avviato: bene l’inizio, ma la pianta deve ancora crescere.