“Ma che interesse suscita in voi la scuola?”. Ho provato a rivolgere questa domanda ai miei studenti per cercare di capire un po’ meglio l’aria che tira fra di loro, se non altro perché si tratta di persone con cui condivido non poche ore della mia vita e con cui mi gioco a livello professionale (e non solo, ovviamente).
In molti mi hanno risposto a voce, qualcuno scrivendo la sue riflessioni. Altri hanno taciuto. Risultato? Ecco una prima risposta: “Personalmente ritengo che l’interesse in qualsiasi materia (sia umanistica che scientifica) viene generato in me nel momento in cui sono reso partecipe di ciò che si sta trattando. Infatti, per esperienza personale, posso affermare con certezza che il massimo interesse l’ho provato ogni qualvolta mi sono sentito coinvolto in una discussione o in un progetto intrapreso”.
Un altro sottoscrive e aggiunge: “Per arrivare a questo è indispensabile il ruolo dell’insegnante, che deve costantemente incitare l’alunno facendolo sentire protagonista”. Giusto. Ma come? Parlando degli argomenti “istituzionali” o andando “a ruota libera”?
Mi ricordo molto bene l’esclamazione di un ragazzo all’uscita dal salone conferenze per l’ennesimo incontro con degli esperti: “Finalmente torniamo in classe!”. Sinceramente non ho presente che argomento fosse stato trattato in quel caso (lotta al fumo? centocinquantesimo dell’unità nazionale? corretta dieta alimentare?), ma poco importa. Quel che è certo è che non basta uscire dalla classe per rendere la scuola interessante, né che per forza in classe ci si debba annoiare o soffrire per definizione.
Del resto, poi, le cose non camminano quasi mai secondo i nostri progetti. Mi ricordo di lezioni ben curate e preparate su argomenti a mio avviso importanti. Zelante ascolto. Zero interesse. O invece argomenti affrontati un po’ a caso e non programmati. Ne ho presente uno relativo al pensiero economico moderno: genitori che mi dicono un po’ preoccupati che loro figlio è andato a cercare in biblioteca libri sull’argomento perché gli interessano molto, con ciò angustiati che tutto questo scompagini i loro piani, dato che lo vogliono medico e che magari adesso potrebbe cambiare idea in proposito…
“Effettivamente la matematica da noi studiata non presenta nulla di molto accattivante – scrive uno studente – ma ciò che mi spinge ad affrontarla con interesse e passione è sicuramente il fatto che ogni qualvolta mi trovo di fronte ad un esercizio ho voglia risolverlo a tutti i costi, dal momento che lo vedo come una sfida da superare”. Chi l’avrebbe mai detto?
“Sono rimasto colpito dalla quantità di nozioni che quest’anno ho dovuto apprendere – aggiunge ancora un altro – ma quando mi servono per sviluppare il mio spirito critico e capire il mondo in cui vivo, allora non mi pesano particolarmente”.
“Mi interessa ciò che può tornare utile per la vita. Penso che sia sempre necessario che voi insegnanti teniate presente questo quando ci parlate, anche se magari all’apparenza gli argomenti ci possono sembrano poco coinvolgenti”- conclude infine una studentessa.
Insomma, tutto si può dire, ma non che in molti ci sia superficialità. Infatti, anche le altre risposte che mi sono state date si pongono più o meno tutte su questo registro.
Capita durante l’anno scolastico di dover andare in alcune scuole medie a presentare i nostri corsi agli alunni che stanno per diplomarsi, per farli conoscere e vedere se ne sono interessati. Di regola porto con me qualche studente, in genere quelli più “critici”. Entrato in classe, faccio una breve presentazione e poi lascio a loro la parola. Ogni volta osservo come sanno mettersi in gioco. Bravi nell’esporre, coinvolgenti. Quasi quasi non sembrano gli stessi che io conosco in classe.
Mentre si sorseggia l’aperitivo al termine del nostro “tour” si parla di come è andata, di che cosa ne pensano di questi incontri. Immancabilmente emerge questo: si sono sentiti protagonisti di un gesto, responsabili di quel che veniva loro chiesto; hanno parlato della scuola, certo, ma nel fare questo hanno parlato di sé. Insomma, in un certo senso si sono misurati con la realtà e la cosa gli è piaciuta. Il che, a dire il vero, è un pensiero che è serpeggiato in tutte le risposte che mi sono state date: a nessuno piace la teoria, ma la pratica, anche quando la pratica consiste in una teoria.
Tutti, anche se non in modo così chiaramente esplicito (ma implicitamente sì), sentono di star facendo una strada che li deve portare a un di più. Questo di più, pur presentando modalità e aspetti diversi – come abbiamo visto – riconduce in fondo a un desiderio personale di una crescita che li soddisfi come uomini. Desiderio peraltro comune a ognuno di noi, perché a nessuno piace rimanere “una grande incompiuta”.