Esami di stato, Maturità 2011: prima prova, tipologia C – Tema di argomento storico – Lo storico Eric J. Hobsbawm definisce Secolo breve gli anni che vanno dall’esplosione della prima guerra mondiale fino al collasso dell’URSS. A suo giudizio, “la struttura del Secolo breve appare come quella di un trittico o di un sandwich storico. A un’Età della catastrofe, che va dal 1914 sino ai postumi della seconda guerra mondiale, hanno fatto seguito una trentina d’anni di straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità. Guardando indietro, quegli anni possono essere considerati come una specie di Età dell’oro, e così furono visti non appena giunsero al termine all’inizio degli anni ’70. L’ultima parte del secolo è stata una nuova epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi – e addirittura, per larghe parti del mondo come l’Africa, l’ex URSS e le ex nazioni socialiste dell’Europa orientale, un’Età di catastrofe”. Il candidato valuti criticamente la periodizzazione proposta da Hobsbawm e si soffermi sugli eventi che a suo parere caratterizzano gli anni ’70 del Novecento. 




TEMA SVOLTO – Il volume di Hobsbawm, edito nel 1994, si intitola significativamente: Ages of Extremes – The Short Twentieth Century: 1914-1991. Dal suo studio emerge chiaramente la particolare convinzione che si possano individuare dei passaggi radicali molto precisi nella storia mondiale del Novecento. L’opera pone dunque il problema, assai sentito dalla storiografia, della “periodizzazione”, vale a dire su quanto sia lecito “tagliare” di netto dei periodi storici, ponendo delle date come spartiacque indiscusso all’interno del procedere della storia. Tale operazione è spesso utile a fini didattici, ma forse esagerata a livello scientifico. Si può cogliere l’occasione di metterla alla prova con il testo di Hobsbawm.
Il primo dei passaggi riconosciuti, che segnerebbe l’inizio della Age of catastrophe, viene individuato nel 28 giugno 1914, con l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, causa immediata dell’inizio della Grande Guerra. Da lì in poi, secondo lo storico marxista, si passerebbe attraverso la generale crisi del liberalismo, il trionfo delle ideologie totalitarie, fino alla disfatta della seconda guerra mondiale. In tale periodizzazione vi sono senz’altro delle forzature, come fatto notare da gran parte della storiografia. Non si deve infatti dimenticare che una guerra era da anni preconizzata da molti osservatori del tempo. Troppi i motivi di attrito: innanzitutto la corsa agli armamenti tra l’impero britannico e la Germania, nell’ottica della ricerca, da parte tedesca, di una migliore distribuzione planetaria delle aree di influenza. Inoltre, il sistema delle alleanze non lasciava più spazio di manovra per una soluzione concordata dei principali nodi di dissidio (primo fra tutti quello balcanico), presentando due blocchi contrapposti assai ben definiti: la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa. Altri elementi si potrebbero aggiungere per confermare che senz’altro l’attentato di Sarajevo fu più pretesto che causa del conflitto e che, come tale, sarebbe esagerato assegnare ad esso il ruolo di data di inizio di una nuova epoca.



D’altro canto, rischia di essere eccessivo intravvedere l’inizio del crollo del liberalismo nel dopoguerra, cominciato in verità già prima. In Italia, ad esempio, con la “crisi di fine secolo” e gli strali lanciati da Sonnino per un ritorno ad un’interpretazione costituzionale e non parlamentare dello Statuto albertino. Anche in quest’ottica, la periodizzazione tende ad eliminare importanti nessi storici.

Per quanto riguarda il secondo passaggio, iniziato nel 1947, non si può certo negare che esistano buone ragioni per identificare nella ripresa economica il momento di inizio di un processo di decisa trasformazione socio-economica mondiale, tanto da far affermare nel 1957 al premier britannico Macmillan, rivolto agli inglesi, che “non siete mai stati così bene”. Processo questo tutt’altro che lineare sia negli esiti che nelle aspirazioni (basti pensare a come in Italia si sarebbe avviato il ciclo scatenante il boom economico, con il fiorire della piccola e media impresa e di certe grandi imprese pubbliche da una parte e iniziali tentativi di marca statalista dall’altra). Sembra eccessiva dunque la definizione di golden Age, in contrapposizione così forte con le altre due età, soprattutto perché, se si assume il giusto consiglio di aprire l’ottica dall’Europa all’intero globo, di fronte all’affermarsi di un maggiore benessere per molti, si mettono in secondo piano crisi assai notevoli di questi decenni: guerre di Corea e del Vietnam e più in generale la Guerra Fredda, lo spettro dell’atomica e dei missili, la rivoluzione maoista, la repressione sovietica in Ungheria e Cecoslovacchia, la crisi della Quarta Repubblica in Francia, i regimi militari sudamericani e la rivoluzione cubana, ecc.



Per quel che riguarda la scelta del 1973 come data di inizio della terza Età (Landslide) essa si può giustificare nell’ottica di Hobsbawm con la fine di alcuni fattori di stabilità che avevano contribuito alla crescita economica e sociale. Nixon dichiara la sospensione della convertibilità del dollaro; crolla il sistema di Bretton Woods; le crisi petrolifere sembrano porre sotto ricatto le economie dei paesi occidentali.

Inoltre, negli Usa e in Europa si facevano sentire le violente tensioni sociali scoppiate nel decennio precedente con la contestazione giovanile e la rivolta nera negli Stati Uniti. Ma proprio per quanto detto precedentemente, sembra improprio attribuire al ’73 il simbolo di un cambiamento radicale nella società contemporanea. Forse la crisi del mondo sovietico iniziava politicamente solo allora, ma è legittimo avanzare dubbi sul fatto che fino a questo momento i suoi successi fossero anche sostanziali e non solo di facciata: certo, l’Urss tenne egregiamente il campo con gli Usa per quel che riguardava la conquista dello spazio o il mantenimento delle aree di influenza, ma non si può certo dire che i cittadini sovietici (per non parlare di quelli cinesi) godessero dello stesso benessere degli occidentali, schiacciati e irreggimentati com’erano nell’economia collettivista.

Il ’73, con lo scoppio della guerra del Kippur, sembrava poter aumentare la conflittualità nei paesi del Medio Oriente, ma non si deve dimenticare che i focolai di tensione risalivano in molti casi a decenni prima, alla nascita dello stato di Israele, alla crisi di Suez e alla guerra dei sei giorni. Lo stesso si può dire per le crisi nei paesi africani ex-coloniali, che attraversavano i traumi dovuti alla cattiva gestione del momento autonomistico.

In Italia, gli anni Settanta furono particolarmente difficili, soprattutto a causa del terrorismo politico, che fece piombare il paese intero nella paura di attentati indiscriminati e che ebbe come apice il sequestro e l’assassinio di Moro (1978). Dal punto di vista italiano, si può parlare a ragione di un periodo “catastrofico”, che finalmente dagli anni Ottanta poté essere in buona parte superato.

Ma da un’ottica mondiale, sebbene attorno al 1973 si fossero concentrati eventi certamente nefasti e che avrebbero sollecitato un ripensamento in taluni ambiti (ad esempio la politica internazionale), sembra che ilsandwich di Hobsbawm impedisca di intravvedere le linee di continuità che legano innegabilmente le due età. Motivo per cui forse ci si dimentica che già era iniziato un progetto molto rilevante a livello mondiale, la costruzione di un’unione economica europea, con possibili sviluppi politici, il cui cammino, lento, contrastato ma inesorabile, risulta essere trasversale alla periodizzazione dello storico marxista. Anzi, tale progetto riceveva ulteriore impulso proprio dal 1° gennaio 1973, con l’ingresso nella Cee di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca.

 

(Mattia Savoia, studente di Scienze Storiche, Università Statale di Milano)


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