Esami di stato, Maturità 2011: prima prova, tipologia B – 4. Ambito tecnico scientifico. Argomento: Enrico Fermi, fisico – Alla luce del disastro di Fukushima, del dibattito interrotto sul nucleare – in seguito al referendum in cui i cittadini si sono manifestamente espressi contro il ripristino di centrali – e a quello sulle energie rinnovabili che deve ancora seriamente iniziare, l’argomento della traccia della tipologia B (saggio breve o articolo di giornale) mette al centro la personalità di Enrico Fermi, il cui valore umano, oltre che quello della sua ricerca scientifica, è ancora in parte da scoprire.
TEMA SVOLTO – L’attualità della figura di Enrico Fermi, così come emerge dalle pur frammentarie citazioni contenute nei brani proposti, è sorprendente. Vengono infatti toccati i principali temi che animano la discussione nel mondo della ricerca e che sottendono i dibattiti che poi giungono, anche se un po’ riduttivamente, al grande pubblico.
Risalta anzitutto l’imponente eredità scientifica di Fermi, che parte dallo studio delle interazioni deboli per confluire nella più nota fisica delle particelle. Il valore delle ricerche del fisico italiano è senz’altro da ricollegare ai contributi offerti per la comprensione di un livello della realtà, quello subatomico, e si inserisce nel grande flusso della conoscenza del 900 quando i fisici hanno iniziato a esplorare i nuovi territori dell’infinitamente piccolo scoprendo una varietà inimmaginabile di componenti, tanto da indurre l’immaginifico Robert Oppenheimer a coniare l’espressione “zoo sub-nucleare”.
C’è però un aspetto della personalità dello scienziato, che nel caso di Fermi non può non essere enfatizzato, ma che ha validità più generale; ne accenna quasi di sfuggita il brano di Nicola Cabibbo quando parla della “firma di un grande maestro”. Un’esperienza di passione per la realtà e di tensione a una conoscenza ampia e rigorosa diventa scuola, genera una tradizione e innesca una “reazione a catena”, è il caso di dirlo, difficilmente arrestabile e destinata a lasciare effetti durevoli. Notiamo, per inciso, che osservazioni simili possono essere applicate allo stesso Cabibbo: a un anno dalla scomparsa, la sua impronta nel panorama scientifico di fine secolo appare sempre più nitida e feconda.
Un secondo motivo, anche questo evidente in uno scienziato come Fermi ma interessante per tutti, riguarda la duplice modalità con cui si possono conseguire risultati e successi nella scienza. Si pensa spesso a un traguardo scientifico raggiunto quando viene fatta una clamorosa scoperta o quando sale alla ribalta un’idea completamente nuova. Questa è senz’altro una delle strade, percorse in realtà da un numero limitato di scienziati il cui nome resta impresso nella storia e travalica i confini della singola disciplina.
C’è però, come osserva Giuseppe Bruzzaniti, tutto un lavoro di rielaborazione dei dati sperimentali, di riorganizzazione di conoscenze, di affinamento delle teorie che porta a risultati non meno “rivoluzionari”. È un lavoro che nelle mani di uomini curiosi e geniali può condurre all’apertura di nuovi “passaggi a Nord-Ovest”, può dischiudere orizzonti inaspettati e immettere nel mercato delle idee nuovi paradigmi con i quali fenomeni apparentemente distanti tra loro possono essere riletti e unificati.
C’è poi la questione delle applicazioni dei risultati scientifici, richiamata espressamente da Fermi nella lettera del 1945 a uno dei cinque del celebre gruppo di via Panisperna, Edoardo Amaldi. Nel linguaggio asciutto e senza scrupoli diplomatici del “maestro”, viene richiamato il dramma delle bombe atomiche lanciate sul Giappone, indicandone la fredda motivazione di “troncare” il conflitto mondiale. Ma si parla anche del “notevole interesse scientifico” del lavoro svolto a Los Alamos e c’è il convinto auspicio che la neonata fisica nucleare possa abbandonare gli obiettivi bellici per diventare strumento di ulteriore conoscenza, alimentando lo studio di quei neutroni che Fermi in una celebre conferenza aveva considerato un po’ come “i suoi parenti”. È l’affermazione di una faccia meno popolare della tecnologia, quella che la pone a servizio degli avanzamenti conoscitivi in tanti campi e che oggi raggiunge il suo vertice nelle grandi imprese sperimentali come l’acceleratore LHC del Cern: qui l’informatica ha dato il suo contributo alla fisica facendo nascere Internet e la tecnologia dei magneti superconduttori dà la possibilità ai protoni e agli antiprotoni di scontrarsi ad altissime velocità nei tunnel di Ginevra.
Quello tuttavia che più stimola una riflessione sull’oggi della scienza è il discorso di Fermi del 1947. Non tanto per analogia di situazioni, che sono molto diverse e per certi versi opposte. Allora, come nota lo stesso Fermi, si registrava un’impennata nelle iscrizioni alle facoltà di fisica; oggi invece si assiste a una diminuzione di interesse per gli studi scientifici in generale, anche se si tratta di una tendenza che sta forse subendo una inversione.
Le analogie comunque si possono trovare e non sono di poco conto. Allora c’era la preoccupazione per i possibili sviluppi di una scienza che poteva sfuggire di mano e che andava a toccare, in modo un po’ troppo disinvolto, la natura nei suoi più delicati meccanismi di base. A questo sentimento, per contrasto, si univa l’entusiasmo per una grande impresa scientifica, come era stato il progetto Manhattan, che prospettava per gli scienziati un ruolo di primo piano nella società; e che proiettava nei decenni successivi, tramite le centrali nucleari, la promessa di energia abbondante, a supporto del boom economico degli anni 60.
Ma l’analogia più interessante è quella che ci porta alle domande di fondo poste da Fermi: dove sta il fascino e l’attrattiva della scienza? Perché vale la pena dedicarsi alla ricerca scientifica? Che cosa può adeguatamente motivarla?
La scienza ci colpisce quando può mostrare il suo aspetto di grandeur: grandi imprese, enormi realizzazioni, smisurate energie prodotte e messe sotto controllo; si pensi alla Stazione spaziale, ai tanti satelliti in giro nel Sistema solare per vari scopi scientifici e servizi tecnologici, al già citato super acceleratore, al progetto di reattore per la fusione termonucleare… Lanciarsi in grandi imprese è tipico dell’uomo e non si può sbrigativamente liquidare questa attrattiva con una mossa ideologica. D’altra parte non si può nascondere come in tutto ciò si riveli uno spirito prometeico e spesso un delirio di onnipotenza che induce a sottovalutare rischi e effetti collaterali, con vaste ricadute nel tempo e nello spazio.
Il problema tuttavia è di andare alla radice di queste aspettative e dello stesso lavoro scientifico. Lo dice bene Fermi: ciò che muove e motiva la ricerca è “l’amore di scoprire nuove verità”; c’è un desiderio più profondo e sconfinato in ogni uomo che lo spinge a incontrare la realtà in tutte le sue dimensioni: la scienza è una di queste e compito dello scienziato è “spostare in avanti” le frontiere della conoscenza. Questo scopo merita la dedizione di una vita: come ha fatto Fermi che ha continuato a studiare fino all’ultimo, anche dopo aver vinto il premio Nobel e dopo tanto altri risultati e riconoscimenti. Fedele al motto che era solito citare: “Non è mai tardi per andar più oltre, non è mai tardi per tentar l’ignoto”.