Mesi or sono mi aveva incuriosita la notizia del discutibile gesto, decisamente inconsueto, di una professoressa di inglese che aveva utilizzato una circolare per farne una barchetta. Cosa “bolliva” nella pentola di quella scuola superiore della provincia di Potenza? La risposta alla domanda è giunta pochi giorni fa quando – inaspettatamente – ho letto che la solerte Dirigente usava mettere spesso nero su bianco per le direttive della sua funzione. Nel corso dell’anno era riuscita a “produrre” ben 157 circolari. Un osservatore attento non sottovaluta i segni.
Tuttavia, come immaginavo, il gesto provocatorio era solo l’inizio di una “guerra” senza esclusione di colpi di scena tragicomici. Pochi giorni fa la stessa prof è stata sospesa dalla preside per dieci giorni e non potrà presenziare agli esami di maturità dei suoi studenti. A questo punto verifico la veridicità delle mie ipotesi. Il clima relazionale si era evidentemente surriscaldato oltre misura, fino all’esasperazione reciproca. Da qui alla dichiarazione pubblica di guerra in atto il passo è breve: sospensione e conseguente decurtazione di stipendio. Insorge repentinamente un noto sindacato, ma non è questo il punto.
L’antefatto aiuta a comprendere i retroscena e la scintilla a cui agganciarsi proviene dalla performance di uno studente “modello” che si rifiuta di pagare l’esigua somma (75 centesimi) “spalmata” ex equo tra tutti i ragazzi. Non è lui il colpevole e lancia la sfida. Il consiglio di classe decide per il sei in condotta, ma evidentemente non c’è l’unanimità e scatta un altro pretesto per evidenziare il dissenso tra la docente e la Dirigente. In mancanza del reo confesso, qualcuno deve pagare per l’atto vandalico della rottura dell’idrante di cui la scuola dispone grazie alle indubbie capacità manageriali della sventurata DS. Occorre dare una sana lezione di civiltà a tutti per non lasciare cadere nel dimenticatoio l’accaduto ed evitare il ripetersi della riprovevole “sperimentazione” degli studenti in suolo pubblico. Disciplina e regole, anche questa è scuola.
Pur tuttavia il capo d’istituto, datore di lavoro a tutti gli effetti, che ha provveduto ad installare gli estintori, non ha tenuto conto di ciò che quotidianamente brucia dentro le pareti scolastiche, in modo diverso e subdolo. Il vero “nemico invisibile” è presente, ma pochi hanno l’esatta consapevolezza della sua esistenza e s’informano adeguatamente. Miete vittime ovunque e ha un nome: DMP: disagio mentale professionale da stress lavoro-correlato. La letteratura medico-scientifica internazionale conosce il fenomeno tipico delle professioni di aiuto, ma pochi si documentano a dovere e nessuno li obbliga a formarsi adeguatamente.
In servizio da tre anni in quell’istituto, la Dirigente aveva un obiettivo decisamente chiaro in mente: la sicurezza negli ambienti di lavoro. Per ridare dignità e rispetto occorreva il suo braccio di ferro per “rieducare” anche gli insegnanti. Rispettare le indicazioni ministeriali è un dovere. Ma c’è ben altro che brucia nella sua scuola, lentamente ma inesorabilmente anche dentro di lei. La salute di chi si è adoperata (eccessivamente?!) per promuovere il doveroso rispetto degli arredi e dell’edificio potrebbe essere ormai compromessa. Inutile e dannoso cercare il colpevole di turno e il rimbalzo di responsabilità. E’ la professione stessa ad essere a rischio di logoramento, prenderne atto sarebbe già un passo avanti, nella direzione giusta.
Eccoci al dunque, nel bel mezzo degli esami di maturità. Come da copione i media intervistano i soliti esperti del settore che elargiscono consigli, non richiesti, a studenti e famiglie. Nessuno si occupa e preoccupa del clima di lavoro in cui sono immersi ogni giorno gli studenti stessi, i docenti di ogni ordine e grado, ma anche i presidi ignari dei loro vissuti emotivi, magari ad un’età già di per sé “complicata”, specie se al femminile. Convinti, questi ultimi, che il DMP riguardi solo e unicamente i loro sottoposti, a volte ribelli, proprio come gli studenti che incalzano l’insegnante con domande im-pertinenti. Non importa conoscere quali azioni legali esperirà la docente poco propensa a sottomettersi alle “stranezze” del proprio Capo d’istituto; ormai la frittata è fatta e nessuno è riuscito a prevenire l’ennesimo episodio eclatante. Quando il clima educativo fallisce chi ne farà le spese saranno soprattutto i ragazzi. Ma il tempo sbiadirà i contorni e, tra qualche anno, ricorderanno solo gli aspetti positivi, spesso con nostalgia. Il nostro cervello è stato “programmato” anche per selezionare i vissuti, ma ancora una volta i vertici delle istituzioni hanno perso l’occasione per “imparare a leggere”, riconoscere e decodificare i messaggi e i segni premonitori del disagio in atto. Pare che la prima prova scritta sia stata gradita ai più. Sapranno scegliere altrettanto bene le future indicazioni programmatiche… anti-incendio?