Esami di stato: come al solito, inizia il conto alla rovescia, un tempo accompagnato da una certa ansia, per non dire angoscia – checché ne dicano insegnanti e genitori – perché gli esami di stato sono la prima, seria prova della vita; e per quanto uno studente si sia impegnato, una certa imprevedibilità bisogna metterla nel conto.



È quell’imprevedibilità che verifica la solidità di una preparazione, la capacità di affrontare qualcosa di nuovo, di imprevisto. Gli esami di stato sono una prova seria, perché vanno a verificare che tipo di studente si è formato in anni e anni di scuola superiore: se è uno studente solo capace di ripetere nozioni o, peggio, un insieme di luoghi comuni, o se è uno studente che butta dentro l’agone della vita la sua forza critica e creativa, la sua domanda di verità.



A meno di un mese da questa così importante prova c’è da chiedersi come prepararsi ad affrontarla, come riuscire a reggerne la sfida. Un fuoco di fila nozionistico rischia di segnare gli ultimi giorni dell’anno, ma non è questo il modo di prepararsi agli esami: non è riassommare quello che si sa e angosciarsi per tutto quello che non si sa e che forse non si riuscirà a conoscere in un mese.

Occorre invece raccogliere quello che si è imparato in una sintesi personale, tentar di dare un’impronta critica alle tante conoscenze che si sono acquisite in anni di studio. Non basta ripetere, mandare a memoria; ci vuole un lavoro di sintesi, andare all’attacco con la propria criticità. I ragazzi dovrebbero capire che prendersi questo coraggio è già la maturità, è sfondare il muro della ripetitività per trovare l’umano, il suo tocco geniale, la sua traccia indelebile.



C’è uno strumento, in particolare, che favorisce questo approccio personale e sintetico all’esame: è la preparazione della cosiddetta tesina, l’argomento con cui inizierà il colloquio. Due le strade: fare la tesina con il metodo del taglia e incolla, scopiazzando quanto si trova nella rete. Oppure prendere la tesina come occasione per mettere in gioco la propria umanità, per approfondire un interesse, per comunicare la propria energia ideale. Da come uno studente si mette di fronte alla tesina dipende se in questo mese prima degli esami diventerà grande o rimarrà omologato.

Ma una pensiero va anche ai tanti colleghi docenti. C’è dovunque una tendenza a trasformare questi esami in un gioco, così che una soffiata o l’altra ne permetta il superamento senza gravi conseguenze. È l’esito di una cultura che fa di questo esame un terno al lotto, tanto che il problema diventa quello di cavarsela a tutti i costi, poco importa in che modo, l’importante è uscirne indenni. Questa mentalità è quanto di peggio possiamo coltivare dentro la scuola, è l’opposto di quello ch’è la scuola stessa. Urge invertire la direzione. Qui sta la questione fondamentale, nella ripresa di valore dell’esame. E questo è possibile solo ad una condizione, restituendo all’esame il suo significato, quello di mettere ogni studente nelle condizioni di comunicare quello che ha imparato.

Quali sono queste condizioni? Quelle, inevitabilmente, che pongono gli insegnanti. Non esiste l’esame di stato perfetto, neutrale, uguale per tutti. L’esame è come lo impostano gli insegnanti, se lo usano per “punire” gli studenti, con l’intenzione di trovare i limiti e le mancanze, o se lo usano per valorizzare le loro capacità e le loro conoscenze. Da questo dipende l’esame, il suo svolgimento e il suo esito.

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