La scuola inizia ad insegnare ad affrontare la prima prova dell’esame di stato quando la maestra della scuola materna porge al bimbo un foglio bianco e lo invita a disegnare. Solitamente il bambino mentre disegna è felice perché esprime il suo io. La mamma, il papà, i fratelli, il sole, le nuvole, la casa sono ciò a cui appartiene, ciò che il bambino identifica con sé, con la sua felicità. Persino la rappresentazione delle cose che gli provocano dei disagi, o delle paure, rappresenta un momento di piacere, perlomeno di sfogo. Nessuno, infatti, in questo tipo di disegni, obbliga il bambino a disegnare un oggetto preciso: si tratta quindi di un piacere quasi istintivo, di un modo di essere felici che avviene attraverso il ricordo e la riproduzione spontanea di ciò cui appartiene.
Il percorso che inizia sui tavoli della scuola dell’infanzia si conclude nei corridoi delle scuole superiori in occasione dell’esame di “maturità”. Nel frattempo lo studente ha imparato a scrivere ed è entrato in possesso di molte informazioni e numerosi strumenti critici. È obbligato a confrontarsi non con un tema a scelta, ma con tracce imposte dal ministero. Deve adeguarsi a forme (le tipologie) ben strutturate e che richiedono la conoscenza di competenze e metodi specifici.
Il compito dato dalla maestra all’asilo e quello somministrato dal ministero all’esame sembrano appartenere a due mondi diversi. Invece una buona prova di maturità si distingue per la capacità di un ventenne di rifare l’esperienza del bambino di fronte al foglio bianco. Essere maturi o adulti in questa circostanza significa comunicare sé in un ambito e attraverso un linguaggio decisi da altri. In un adulto l’espressione di sé non passa dall’istinto, ma dalla capacità di costruire, di creare, di giudicare. Si tratta avere una molla che non tutti hanno, che rende capaci di essere creativi. Nella scrittura usare o non usare tale molla è una scelta che mostra le sue conseguenze fin dalla prima riga del testo.
Ovviamente, possedere le competenze e gli strumenti specifici fa parte dell’essere maturi. Un adulto che affida la sua creatività solamente all’istinto ha rinunciato alla possibilità di costruire.
In questo senso nella prima prova dell’esame di stato la traccia relativa alla tipologia A, quella dell’analisi del testo, offre un’opportunità spesso sottovalutata. Molti considerano tale tipologia banale o difficile (a seconda della preparazione dello studente) perché vincola lo svolgimento del testo con troppe domande specifiche. Si pensa che l’essere costretti a risposte puntuali riduca la creatività. La creatività, invece, è provocata dalla necessità, allo stesso modo in cui un problema esalta la capacità (o almeno l’esigenza) di risolverlo.
Innanzitutto l’analisi del testo è una prova di immedesimazione con l’autore. Spesso, il ministero della Pubblica Istruzione propone testi non familiari agli studenti che si trovano nella maggior parte dei casi per la prima volta di fronte a quelle parole. È necessaria quindi, prima ancora di una conoscenza specifica, una capacità critica, un lavoro di comprensione di parole dette da un uomo di cui si hanno, a volte, poche notizie o di cui si conoscono altre opere. Nel caso in cui il testo faccia parte del canone della letteratura italiana, tale lavoro resta necessario, per non rendere l’esercizio banale.
La banalità nello svolgimento della tipologia A si ha quando l’analisi non porta alla comunicazione di una scoperta. Si potrebbe dire in altre parole che uno studente ha veramente capito una poesia o un testo narrativo se ne ha intuito il senso e ne ha percepito il valore. In un testo oggi diventato fondamentale per gli studi di pedagogia, Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana, si declinano alcune norme per la scrittura. La prima regola che la scuola di Barbiana propone è quella di “avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti”. Nell’analisi del testo “avere qualcosa di importante da dire” significa comunicare la scoperta fatta attraverso la lettura.
Le domande cui si è obbligati a rispondere sono, quindi, la traccia attraverso la quale lo studente dovrà sviscerare e dimostrare l’esattezza della propria scoperta. Tale impostazione è fondamentale fin dalla risposta al primo quesito, che richiede quasi sempre una sintesi. La sintesi, infatti, non è “l’accorciamento” del testo ma la comunicazione del suo senso. Così, le domande che riguardano gli aspetti formali o storici servono per entrare con più profondità nel messaggio dell’autore e costituiscono quindi dei passaggi necessari per la dimostrazione della scoperta fatta. In questo modo lo svolgimento dell’analisi diventa una prova simile a quella dei veri critici letterari, che mentre spiegano un testo spiegano il mondo. Come i bambini davanti al foglio bianco.
(Marco Sisto, Istituto di Istruzione superiore “Europa unita”, Chivasso, Torino)