Al ministro Gelmini, che domenica sul Corriere aveva detto di non voler alimentare false illusioni nei giovani studenti («nei prossimi anni gli unici posti disponibili saranno quindi quelli derivanti dai pensionamenti») hanno risposto ieri su questo giornale Mario Mauro e Maurizio Lupi, difendendo la separazione tra abilitazione alla professione docente e reclutamento in organico tramite concorso. La presa di posizione dei due esponenti del Pdl arriva dopo un lungo confronto, anche in sede istituzionale, sui numeri del fabbisogno nazionale previsto per i prossimi anni. Alla scelta del ministero di far coincidere, in sede di calcolo, il numero di posti disponibili col numero di precari collocati nelle graduatorie a esaurimento – anche se ora pare che quei numeri stiano cambiando – aveva fatto seguito, il 30 giugno, una lettera aperta del Clds al ministro Gelmini. Il commento di Claudio Gentili, responsabile education di Confindustria.
Claudio Gentili, il ministro Gelmini ha detto: abiliteremo solo e soltanto sulla base dei posti disponibili, pescando dalle graduatorie a esaurimento. Niente (o quasi) nuove abilitazioni, dunque. Qual è la sua opinione?
La risposta non può essere tranchant. Il primo rilievo da fare è che il ministro si è trovato a gestire una questione particolarmente complessa, quella della produzione del precariato, che ha ereditato da chi l’ha preceduta e che rappresenta una piaga storica. Basti pensare che nel ’51 l’allora ministro della Pubblica istruzione disse di «vergognarsi» di fare una sanatoria, assicurando che sarebbe stata la prima e ultima volta; ebbene, da allora di queste sanatorie se ne sono succedute più di una ventina…
Anche lei quindi teme abilitare continuerebbe a produrre nuovi precari?
…sto dicendo che la preoccupazione della Gelmini è legittima e fondata. D’altra parte – ed è il secondo rilievo che faccio – la soluzione ideale è anche per me la stessa che il ministro ha giustamente adottato per l’università: distinzione tra idoneità nazionale e reclutamento. La soluzione più liberale, più europea, quella che rispetta di più il merito, è quella di difendere il pieno diritto di un giovane italiano, anche se sfortunatamente per lui ha finito gli studi universitari nel 2008 (anno di chiusura delle Ssis, ndr), nel 2009 o nel 2010, di poter sognare di diventare insegnante. Questo è fondamentale.
Come ne usciamo?
Nei suoi recenti stati generali di Bergamo, tra le tante proposte che Confindustria ha fatto sull’education c’è quella «quote giovani». Noi diciamo: delle 67mila nuove assunzioni tra Ata e docenti ottenute dal ministro, il 20 percento dovrebbe avere meno di 30 anni. Sarebbe un modo per salvare il diritto di accesso all’insegnamento. Ma se lei va a guardare nelle graduatorie, scopre che di questi 67mila nessuno ha meno di 30 anni. Occorre porre con forza il problema di un sistema corporativo, oltre che burocratico, che si protrae da 50 anni e che impedisce ai talenti giovani di entrare nella scuola.
Ma se le graduatorie sono dichiarate ad esaurimento, e se si abilita senza diritto al posto, come se ne possono alimentare di nuove?
Vede, per impedirlo davvero bisognerebbe fare prima un’altra riforma: abolire i punteggi alle supplenze temporanee. Se non la smettiamo di dare ai supplenti un punteggio, non ci libereremo mai delle graduatorie. Da un lato diciamo che le graduatorie sono a esaurimento, dall’altro però i punteggi a cosa servono, se non a riformarle graduatorie? Occorre poi aggiungere un altro elemento, legato alla furbizia italica. Per evitare che un fine buono – dare spazio ai giovani e al merito – si riveli uno strumento per gonfiare il precariato, occorre impedire che possano accedere al TFA i già abilitati con lo scopo di scorrere posti in graduatoria. Durante le SSIS capitava di trovare nelle aule molti attempati supplenti che con la frequentazione a 45 anni suonati volevano avere qualche punto in più…
Che cosa l’ha colpita di più del dibattito di questi giorni?
È mancato un punto rilevante: la differenza, ingiustificabile, tra i dipendenti pubblici normali e i dipendenti pubblici della scuola. Il dipendente di altri comparti della Pa italiana, quando fa un concorso sa che la sua graduatoria, dopo un anno, un anno e mezzo non c’è più: non è «a esaurimento», ma sparisce come tale e si ricomincia da capo. Mi domando per quale motivo c’è questa ingiustizia e perché nessun Tar ha mai emesso una sentenza al riguardo. Senza affrontare questo nodo cruciale, torneremo a riprodurre i vecchi vizi.
Perché secondo lei la Gelmini è così contraria alla separazione di abilitazione e reclutamento?
Credo di immaginarlo: l’allargamento del TFA ad un pubblico molto vasto potrebbe generare un movimento di opinione di fronte al quale i politici sarebbero assai deboli, temo, nel dir di no; anche se Mauro e Lupi respingono con forza questa ipotesi. Riattivare le graduatorie sarebbe un fallimento clamoroso per l’intero sistema.
Nella lettera aperta degli studenti si leggeva tra le righe la denuncia di un «patto» della Gelmini coi sindacati: «una scelta (…) che soddisfa pienamente le richieste dei sindacati e privilegia i diritti acquisiti». È così secondo lei?
Il punto delicato è che la scuola in Italia si regge su di un’alleanza, quella tra il mammut e il dinosauro. Il mammut è la burocrazia, il dinosauro è il corporativismo. Per rompere questa alleanza c’è bisogno di un grande movimento di opinione pubblica che chieda più merito e meno corporativismi e assistenzialismi nei confronti di un lavoro così importante come quello educativo.
Chiudere le abilitazioni non viene certo incontro alle scuole paritarie.
Anche questo è un problema fondamentale. La riduzione dei numeri del TFA e con essi delle abilitazioni penalizzerebbe gravemente le scuole paritarie, dove ci sono giovani bravissimi che non sarebbero messi in condizione di acquisire l’abilitazione.
Ma che cosa si dovrebbe fare in concreto per rompere l’alleanza tra mammut e dinosauro?
Riesumare la proposta di legge Aprea. Dovrebbe essere questo l’ultimo tassello del disegno riformatore della Gelmini. Ricordo che quando fu presentata ci fu una lettera allarmata dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil al presidente della Camera Fini. Era una garanzia di qualità, e infatti quella proposta attentava gravemente al potere sindacale nella scuola. Apriamo i concorsi, che da troppo tempo non si fanno, e stabiliamo regole europee per cui le reti di scuole possono assumere direttamente gli insegnanti. Senza questo sistema decentrato che valorizza il principio di sussidiarietà, lo statalismo soffocherà ogni altro tentativo liberale.
(Federico Ferraù)