«Questi giovani hanno ragione. Non per un malinteso giovanilismo, ma perché pongono alla politica una questione ineludibile: non si può stare nel mondo senza soddisfare l’esigenza primaria di lavoro delle nuove generazioni». A dirlo è Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione ed eurodeputato del Pd, commentando la lettera aperta al Ministro Gelmini a firma Clds – Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio, uscita giovedì scorso su ilsussidiario.net.
Cosa pensa della lettera, professore?
Vorrei fare una considerazione preliminare. Il dato più drammatico della crisi economica mondiale è che in tutto il mondo i giovani ne stanno pagando il costo più alto. In Italia la disoccupazione giovanile è al 30 percento, e nel Mezzogiorno questa cifra aumenta della metà. Qualunque governo non può permettersi di ignorare il problema e deve fare proposte con la massima urgenza.
Investire in istruzione – per non parlare della cultura e della ricerca – ha un costo. Molto elevato. E noi…
Ma è l’unico modo per uscire dalla crisi. L’Europa e il mondo si dividono in due «partiti»: i paesi che hanno investito in istruzione e ricerca, e quelli che hanno tagliato i fondi. Germania, Finlandia e altri paesi del Nord Europa hanno investito e vedono il Pil in aumento pur avendo fatto severissimi tagli di risanamento finanziario al loro bilancio. Non hanno un Tremonti che taglia trasversalmente tutto, ma selezionano i tagli e investono nei capitoli di spesa che sono imprescindibili. Certo bisogna volerlo fare.
Il ministro Gelmini ha delle responsabilità?
La Gelmini ha fatto sforzi sovrumani per riuscire a salvare il salvabile, ma la linea Tremonti è di manifesta chiusura al futuro.
«Il governo» dice la lettera «sta dalla parte dei già abilitati non ancora immessi in ruolo e inseriti nelle graduatorie a esaurimento». E i giovani sono gli unici a pagare per questa scelta.
È vero. Una società deve garantire il futuro a se stessa, e in questa operazione c’è un rischio che questi giovani spiegano molto bene. Se per quindici anni sono costretti a non potersi abilitare, perderemo il turnover per colpa nostra e ci ritroveremo con il personale docente più anziano o tra i più anziani d’Europa. Non possiamo permettercelo. Avere un mix equilibrato nel corpo docente è un bene per tutti. non solo per una ragione etica, ma anche per una ragione funzionale.
Si spieghi.
Una scuola che si rispetti ha bisogno di una docenza con molta esperienza didattica, ma anche con molta spinta innovativa. Avere un corpo docente misto, dal punto di vista generazionale è essenziale, perché questo ha grandi conseguenze culturali e formative. Non vorrei essere frainteso: non sto dicendo che gli anziani sono conservatori mentre i giovani sono innovativi, perché conosco giovani conservatori e anziani innovativi. Alla scuola occorre gente di sangue nuovo.
Qual è la strada?
C’è una ben precisa norma che fin dal 1994 prevede di assumere per il 50 percento dalle graduatorie, e per il 50 per cento da concorso. Mi pare una soluzione intelligente e praticabile: non ignoriamola. Non ci sono concorsi in Italia dal 1999. Chi era ministro nel ’99? Ma non voglio fare apologia di reato. Certo è che allora di precari ce n’erano tanti, ma questo non ha voluto dire non avere un occhio di riguardo per questa categoria. Non tale, però, da escludere anche l’altra parte. Dispiacerà a qualcuno quello che dico, ma sono sicuro che è giusto.
Secondo quello che la legge già prevede, dice la lettera del Clds, si vada avanti ad abilitare, il reclutamento avverrà poi contemperando le esigenze. Ovvero: «albi regionali» e chiamata diretta da parte delle scuole. Che ne pensa?
Ci sono paesi in cui già avviene quello che gli studenti propongono, ma per iniziare un’attività di questo tipo in Italia bisogna essere un po’ più cauti. Non sono contrario, ma è una cosa da fare a piccoli passi, perché legato alla nostra realtà nazionale c’è un pericolo molto forte. Anzi, due. Primo, quello del localismo leghista, secondo, quello del clientelismo tipico italiano ma soprattutto dell’Italia meridionale.
La Lega ha sempre detto di volere docenti legati al territorio.
Sì, perché i leghisti sostengono che uno che non sa il dialetto veneto, che loro chiamano impropriamente lingua, non può insegnare in Veneto; ma questa è una bestemmia per la cultura italiana. Anch’io sono perché si insegnino i dialetti del posto, però prima bisogna sapere l’italiano e l’inglese. Diversamente non solo non si sa più chi è Leopardi, ma si finisce per imbarbarire il paese.
Non usa mezzi termini nemmeno per denunciare il clientelismo…
Le scuole in certe zone finirebbero per reclutare soltanto clientes, anche se ci fosse un’unica lista di abilitazione nazionale. L’esperienza accademica insegna che l’abilitazione dev’essere legata all’assegnazione di un posto, deve cioè essere a numero chiuso. In altri termini, non ti abilito, perché c’è un altro più bravo di te: qui la forza della competizione funziona. Ma se non c’è nessuno che viene «sacrificato», io – istituto – chiamo tutti quelli che sono amici. Ripeto, quella della chiamata diretta fondata sull’autonomia non è un’idea sbagliata, ma va attuata con un processo graduale.
In che modo?
In modo sperimentale: si potrebbe iniziare, qualcuno lo ha suggerito, consentendo alle scuole di reclutare l’organico non per intero, ma limitatamente ad alcune funzioni che integrano l’attività educativa. Razionalizzare, insomma, applicando l’organico funzionale. È una strada, ce ne possono essere anche altre.
Ma in questa fase sperimentale gli albi regionali possono avere un ruolo o no?
Sono di fatto già regionali, perché se lei vince la cattedra in una regione, per potersi trasferire in un’altra deve fare i salti mortali. Io sono contrario agli albi regionali chiusi. La presenza di docenti nel nostro paese che non insegnano nel territorio di provenienza ha arricchito enormemente la nostra cultura. È un campo che va regolamentato per disciplinarne gli abusi, che rischiano altrimenti di prevalere.
Come si risolve il problema della «zona grigia» di tutti coloro che insegnano senza aver fatto la SSIS e che non potranno rientrare nel nuovo percorso abilitante?
Guardi, la cosa più urgente da fare è chiudere rapidamente questa fase intermedia. Primo, occorre far partire rapidamente il TFA. Secondo, risolvere casi come quello che ha ricordato, e che riguardano non poche persone e non solo nelle paritarie. Non c’è dubbio che vanno studiati e presi provvedimenti che permettano di inserire nel sistema anche questi docenti. In parallelo, serve un programma di assorbimento dei precari nel rispetto delle leggi che già ci sono.
Per l’immediato futuro che cosa auspica?
Che si parli di numeri: è la condizione. Non solo nell’interesse dei docenti, ma della scuola tutta. E che si faccia una programmazione che non sia solo condizionata dalle ristrettezze.
(Federico Ferraù)