1. Dopo mesi di annunci e smentite, ritardi giurassici e promesse, sembrava di essere giunti giovedì, 30 giugno, alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Bando per il concorso ordinario a Dirigente scolastico. Persino una riunione al Ministero (dicono molto animata), sembrava concludere finalmente un impegno pluriennale. Ed invece in Gazzetta non è apparso nulla.



Le uniche novità, sempre di giovedì, sono la registrazione del Bando presso la Corte dei Conti (pare a seguito di tallonamenti costanti da parte del Direttore Dipartimento della Programmazione) e la convocazione dei sindacati per una informativa in merito, per il 5 luglio. La firma della Corte dei Conti è il penultimo passo della lunga corsa ad ostacoli. Ma quando vedremo l’ultimo?



Se si tratta solo di qualche giorno, allora si riuscirebbe a rispettare la tabella di marcia presentata dal MIUR il 6 aprile 2011 e ottenere le nomine dei vincitori in tempo per l’1 settembre 2012.

Ma due giorni prima ecco improvvisamente circolare una bozza sulla manovra economica (sulle quale c’è il solito gioco delle smentite). Il MEF entra di nuovo a gamba tesa su di una materia che spetta all’Istruzione: pare che il numero delle dirigenze delle scuole statali cambierà in questo scorcio di dibattito parlamentare con i nuovi parametri minimi e massimi di alunni delle Istituzioni Scolastiche Autonome (ISA).



Qualcuno se lo aspettava, perché due mesi fa, nel pieno del balletto delle promesse e smentite, il MEF autorizzava un numero di posti (2.386) a Dirigente scolastico che risultavano 485 in meno di quelli richiesti dal MIUR (2.871), in quanto previsti vacanti entro l’1 settembre 2012. In realtà, se passeranno i nuovi parametri della manovra finanziaria (a modifica tra l’altro di un cardine normativo dell’autonomia scolastica, il famoso art. 21 della Bassanini, la Legge 59/97), la riduzione potrà essere molto maggiore.

Dopo 14 anni di autonomia sognata, invece della sua realizzazione, in sordina arriva un passo verso il suo smantellamento. Passando da 800 a 1.000 alunni quale parametro minimo per le ISA del I ciclo (e a 500 per quelle nelle piccole isole o zone di montagna) si avviano ulteriori ostacoli al loro buon funzionamento ed all’autonomia in generale. Non solo: si inventa la dirigenza precaria perenne, assegnando un reggente non più come soluzione temporanea, ma in modo ordinario alle ISA con meno di 500 alunni (300 se in piccole isole o in zone montane). E, infine, non basta: si generalizza la forma degli Istituti Comprensivi avviata da Berlinguer, procedendo quindi ad ulteriori accorpamenti.

Insomma, qualcuno con un veloce e provvisorio calcolo stima in oltre 2.000 le dirigenze scolastiche che spariranno (oltre ai posti di Direttore amministrativo e nelle segreterie) se le proposte della manovra diverranno legge.

2. Quando già nel giugno 2010 il ministro Gelmini iniziava ad assicurare che il concorso stava per essere emanato, associazioni e sindacati calcolavano per l’1 settembre 2012 in più di un terzo (oltre 3.000) le ISA senza preside. In diverse occasioni lo stesso ministro parlava di “priorità” per la scuola italiana l’emanazione del bando (nelle dichiarazioni di marzo lo dava per imminente), forse consapevole che il rischio non era solo il cattivo funzionamento delle scuole, ma pure il forte snaturamento della professione direttiva nella scuola, seriamente messa alla prova nel suo valore.

La situazione già oggi è grave e si aggraverà sempre di più: le 1.471 ISA statali (su 10.311) che quest’anno hanno presidi reggenti, diventeranno quasi 3.000 dal settembre 2012 (fatti salvi i nuovi tagli in preparazione).  Quindi a quel punto molto più della metà delle scuole statali avranno un preside a mezzo tempo: quelle senza preside e quelle dei presidi che andranno in reggenza a coprire le prime. Si tratterà di un’autentica emergenza!

Infatti dal 2006 non sono più assegnati nuovi incarichi annuali ai posti di presidenza vacanti, in quanto il Contratto Nazionale dell’epoca istituiva le famigerate reggenze che, come DiSAL unicamente sostenne da allora, sarebbero state una comoda soluzione di risparmio per il MEF, una mortificante esperienza professionale per chi ne era gravato, oltre che una complicazione quotidiana per tutte le scuole coinvolte: cioè una pessima soluzione. Queste le vicende della dirigenza scolastica di questi anni, per non parlare poi dell’incredibile via crucis dei 416 presidi siciliani, ancora oggi incerti sul concorso vinto cinque anni fa. 

Per ridurre, in piccola parte, da settembre i danni, i sindacati hanno chiesto la permanenza in servizio dei 426 dirigenti scolastici che quest’anno dovrebbero lasciare per i superati limiti d’età. È una richiesta che, anche se utile, resta assolutamente fuori dell’ordinario, rafforzando l’ormai diffusa convinzione che l’Italia sia “un paese per vecchi”.

Il tutto nella prassi pluriennale non solo dell’attuale Governo: ormai da diversi anni si rinvia l’affronto del grave problema della stabilità e del rinnovo delle professioni della scuola, non solo per i dirigenti, ma anche per i docenti ed i direttori amministrativi, dove il precariato è elefantiaco.

L’assenza da cinque anni di un concorso (che le leggi prevedono a scadenza triennale) è un grave danno innanzitutto alle scuole: infatti la stabilità di una figura direttiva (quando ben praticata) è elemento indispensabile per la scuola come comunità di relazioni con i docenti, gli studenti, le famiglie e come promotore delle indispensabili alleanze educative sul proprio territorio.

Anche ipotizzato da anni l’aumento delle dimensioni numeriche delle ISA attraverso ulteriori accorpamenti, spinge nella direzione di una professione sempre più lontana dal decisivo legame con una “comunità educante”, verso una pura gestione d’ufficio tecnico-burocratica.

Purtroppo in questi due anni si sono registrati alcuni “infelici” uscite dello stesso ministro sulla funzione e sull’operato dei presidi, affermazioni che hanno suscitato il dubbio che questi non siano ritenuti risorsa importante di collaborazione al rinnovamento della scuola.

3. Resta il fatto che, nonostante l’eliminazione, nel bando da emanare, di alcuni difetti degli ultimi bandi concorsuali, la forma di reclutamento che verrà confermata da questo che (sic!) sta per essere emanato, resta quella burocratica, fatta di ricerca di strumenti selettivi di massa, di graduatorie che difficilmente resteranno provvisorie, ma soprattutto di rapporto anonimo tra futuri professionisti della direzione e singole Istituzioni che andranno a dirigere.

Questo permanere ultimamente (e nonostante la regionalizzazione, che il caso Sicilia non ha certo mostrato positiva) della forma statalista del reclutamento nella scuola, resta il residuo di una forma di Stato che non riesce a riconoscere i mutamenti sociali, culturali ed economici. Siamo ben lontani da un effettivo federalismo, da un sistema sussidiario, ma soprattutto dalla piena attuazione di quel famoso art. 21 della Bassanini che spingeva 14 anni fa coraggiosamente verso l’autonomia scolastica.

I testi della prima prova preselettiva che gli aspiranti dirigenti dovranno affrontare saranno, certo, una forma di selezione migliore della semplice verifica dei titoli fatta nei vecchi concorsi: ma è tutto da dimostrare che la preparazione verificata dai test sia quella che serve per dirigere scuole, dove le capacità relazionali e la visione culturale-educativa sono gli elementi principali, sicuramente più importanti di una perfetta conoscenza normativa, tecnica ed economica.

Non essendoci come altrove in Europa (Francia, Germania, Inghilterra) forme di carriera della docenza, la selezione non presuppone esperienze di direzione o co-direzione. Nel caso ci siano funzioni esercitate temporaneamente, queste sono valutate burocraticamente (documenti cartacei cui si attribuiscono punteggi). In Francia non si diventa dirigenti scolastici senza un certo numero di anni di vice-dirigenza effettiva ed una formazione adeguata.

Ma soprattutto questa forma concorsuale è già vecchia alla nascita, perché non permette il reciproco incontro tra professionisti preparati e Istituzioni scolastiche che ne hanno bisogno. Resta cioè la sfiducia statale (ma pure sindacale, culturale, istituzionale) verso l’autonomia delle Istituzioni. Chissà perché un Comune anche piccolo può assumere per concorso interno il Segretario comunale (che è un dirigente), o un Ospedale può assumere per concorso interno un Primario, ma un Istituto Tecnico industriale o un Istituto comprensivo non possono assumere con concorso interno il proprio Dirigente.

Affrontiamo quindi urgentemente per ora l’emergenza per ridurre i danni, ma, se si vuole veramente il cambiamento occorre confidare seriamente nell’autonomia e mettere mano a nuove forme di reclutamento non più gestite dallo Stato centrale o periferico.

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