Cosa accomuna un giovane e stimato docente in veterinaria di Teramo con un’altrettanto giovane e stimata insegnante di Lecco che tre anni or sono finì sui giornali suo malgrado? I soliti esperti in materia la chiamano dissociazione dalla realtà. Ma serve davvero dare un nome agli eventi a posteriori? Per entrambe le tragedie l’esito è la perdita di un figlio in circostanze ben diverse da quelle della celeberrima poesia di Giosuè Carducci, intitolata Pianto antico, tratta da Rime nuove del 1887.



Le lacrime di un genitore che perde un figlio credo siano più salate di altre visto che il cervello intercetta anche i nostri pensieri. Del primo hanno parlato fin troppo ampiamente i media proprio di recente. È la mattina di un caldo giorno di maggio e il papà dovrebbe consegnare all’asilo nido il proprio piccolo prima di recarsi all’università per le lezioni. Ma “salta un passaggio” e non si rende conto di averlo lasciato incustodito sul sedile posteriore. Si accorge di non aver ritirato dall’auto il materiale per la lezione, ma non si rende conto che c’è ben “altro” da sistemare al posto giusto. Quando ritorna trova il bimbo agonizzante e – disperato – lo porta al pronto soccorso dove spirerà poche ore dopo.



Dopo tanto clamore e accanimento mediatico, è giunta l’ora di calare doverosamente un velo pietoso. Il suo unico bambino, rimasto solo sul sedile posteriore, aveva quasi due anni e la mamma ne attendeva un altro, a breve termine.

Il papà, interrogato dalla polizia, aveva risposto di essere stranamente convinto di averlo già lasciato al nido. Mi permetto di osservare e affermare che quando il lavoro (non) nobilita l’uomo, può anche farlo ammalare. Troppe sollecitazioni disturbano, ormai è stato ampiamente dimostrato. Le conseguenze del multitasking sono note, ma questa è la realtà dei fatti e l’interessante affermazione di Nicolai Hartmann potrebbe indurci a fermarci in tempo, prima che sia troppo tardi.



Come ebbe a scrivere il filosofo tedesco ne La fondazione dell’ontologia (1935), “La vita dell’uomo moderno non è favorevole all’approfondimento. Essa si sottrae alla tranquillità e alla contemplazione, è una vita di attività continua e affrettata, una lotta senza scopo e riflessione. Chi si ferma un istante è subito superato […] Il nostro sguardo è sempre rivolto alla novità più recente, a ogni istante siamo sotto il dominio di ciò che è ultimo, e quello che precede è subito dimenticato, non soltanto prima di comprenderlo, ma addirittura ancor prima di vederlo con esattezza”.

Della seconda, già mamma di altri due figli più grandicelli, alcuni giornalisti, affamati di retroscena, avevano persino intervistato il parroco. Donna molto attiva, si occupava persino del catechismo parrocchiale. Perché non chiederle altro?! In entrambi i casi è il mese di maggio. La mamma-professoressa avrebbe dovuto consegnare la sua creatura alla baby-sitter, che l’attendeva invano…

I primi caldi e la stanchezza di una vita troppo intensa che manda in tilt il discernimento e fa perdere il controllo delle proprie azioni, sono un terreno fertile per le “dimenticanze” più o meno gravi. Uno stile di vita troppo intenso, unitamente ad una professione a rischio di logoramento psicofisico, fanno smarrire il senso delle priorità e danno spazio a quel corto circuito mentale che lascerà il senso di colpa per il resto della vita di entrambi i giovani genitori.

Non cadiamo, come ho sentito dire qua e là, nell’errore di  imputare alla generazione dei quarantenni la mancanza di responsabilità. Stonerebbe davvero e c’illuderebbe di essere immuni o deliranti, che è peggio. Non indigniamoci più, dunque, ma impariamo a leggere in modo sano e semplice i segni chiari dei tempi. Il silenzio della pietas ci aiuterà. Tutto il resto è banale.