Dove è andata a finire la questione dei libri di testo nella scuola media superiore? Sembra scomparsa, come altre volte, scalzata da problemi più impellenti. Nondimeno lo stato dell’editoria scolastica, il rapporto tra le legittime preferenze degli autori e la rigorosità della ricerca, la distinzione tra cronaca e storia, la netta diversità professionale di giornalisti e storici, il ruolo dell’insegnante nella scelta e nell’uso del libro di testo, la necessità di testi validi ed equi restano di attualità.
È indubbio, persino sul piano lessicale, il dominio del linguaggio marxista: nelle traduzioni e nelle note didattiche del De bello gallico di Cesare, l’accezione di genera è passata da categorie a classi; per rendere principatum non si usa più supremazia, ma egemonia. Inezie, si dirà. Esempi però della trasformazione della cultura in senso lato.
Miglior sorte non tocca all’italiano. La rigidezza ideologica dei manuali più adottati, unita al loro tecnicismo, strozza in troppi casi una lettura, non dico ingenua, ma almeno ampia, capace di dar spazio alla bellezza e di farla riconoscere.
Essi tengono conto di una molteplicità di studi, del conflitto delle interpretazioni, aggiungono materiali, anziché togliere, direbbe Dante il troppo e il vano. E non tengono conto del livello umano e culturale degli studenti, che purtroppo si è di molto abbassato, e non certo solo a causa della scuola e delle sue disfunzioni. Libri sempre più difficili per studenti sempre meno in grado di assimilarli. E gli insegnanti in mezzo, come del resto il loro compito esige.
La faziosità dei giudizi, degli orientamenti, delle scelte antologiche operate, anche se meno evidenti di quelle presenti nei manuali di storia, non sono meno pericolose dal punto di vista dell’educazione all’amore dell’oggetto che si studia. Stringere autori e testi dentro categorie solo sociologiche o solo psicanalitiche non rende loro giustizia. Non educa a riconoscere l’altro per quello che è, a rispettarne le ragioni, a coglierne limiti e insieme apporti positivi. Insegna a definire.
Il testo di Luperini, che ha riscosso grande successo, irrigidisce a tal punto l’impronta marxista da leggere così il Cantico delle creature di san Francesco: “La funzione ideologica della lauda è doppia: opporsi al pessimismo apocalittico della tradizione millenarista, mostrando l’aspetto sereno del creato, della morte e del rapporto umano con Dio; contrastare l’eresia catara, che distingueva e contrapponeva cielo e terra come dominati dalle entità inconciliabili di bene e male”. E così resta il fatto che Francesco scrive “contro”, non “per”. Molto sleale.
Nel quadro di un generale riavvicinamento al testo teatrale, lo stesso autore rivaluta la figura del giullare nella cultura medievale, come esempio della carnevalizzazione di Bachtin: ma, in mancanza di testi giullareschi, che cosa riporta? Un ampio estratto del “Mistero buffo” di Dario Fo.
Un altro manuale molto adottato è quello di Baldi-Giusso, il cui intento sarebbe di accontentare un po’ tutti. Presentando la figura di Ermengarda, il testo scrive: “Nella tradizione tragica si possono ricordare come antecedenti i contrasti interiori di passioni impossibili perché incestuose, colpevoli, cioè eccezionali e fuori della norma (Fedra di Racine, Mirra di Alfieri). Ma la grande novità di Manzoni è di aver scoperto la tragicità che può essere insita anche in una passione normale e pienamente legittima, l’amore coniugale; la tragicità è scoperta nella realtà per così dire quotidiana. Ermengarda perciò è eroina tragica molto moderna, ottocentesca e borghese”. Una principessa longobarda, sposa di Carlo Magno, colta da Manzoni nel momento del delirio e della morte?
Con questi criteri, poco dopo, il manuale esalterà la narrativa di Zola progressista rispetto a quella di Verga, gentiluomo meridionale e conservatore. I ragazzi leggono già malvolentieri I Malavoglia. Se poi l’autore è definito così, il desiderio di accedere a quello che resta un capolavoro crolla.
Si osserva da ogni parte che i giovani leggono pochissimo, si discute su che cosa sia meglio far leggere, ma certo se un manuale insegna uno sguardo così ristretto è dannoso. La voce dell’insegnante, che peraltro per legge deve adottarne uno, può molto. Ma la pagina scritta è più forte, compresa quella di internet.