Tra le diverse e confuse proposte che il ministro Tremonti ha esaminato o ha dovuto esaminare per affrontare la grave crisi in cui versa il Paese ce ne sono alcune che potrebbero riguardare anche il mondo della scuola. Una è il congelamento degli stipendi di chi lavora dentro la scuola, e su questo c’è poco da dire, se non che piove sul bagnato, l’altra riguarda quel nuovo diritto di cui si sta parlando in questi giorni sull’onda di presunte affermazioni della Bce: il diritto a licenziare.



Come ben si sa il mondo della scuola è forse quello in cui è diventata norma l’illicenziabilità, si parla al massimo di inidoneità all’insegnamento e questo porta a utilizzare il personale considerato inidoneo in altre mansioni, che si introduca il diritto a licenziare per una contingenza economica, questo sarebbe l’ennesimo insulto alla professionalità docente.



Non esiste il diritto a licenziare, è un sofisma inventato dalla Bce o da Tremonti, nessuno ha diritto a licenziare un lavoratore, né uno stato né un privato, la questione è del tutto ribaltata, ogni famiglia come ogni studente ha diritto ad avere il miglior professore possibile.
E’ questo diritto che è stato calpestato, mai tenuto in considerazione realmente in forza di un’ideologia che ha attraversato e condizionato la storia della scuola nell’età repubblicana, e che ha portato ad assumere l’idea che un insegnante vale l’altro, naturalmente nella scuola di stato.

In forza di questa concezione ugualitaria si è permesso di tutto, si è tollerato che studenti avessero insegnanti incapaci di insegnare o senza passione, si è permesso che studenti venissero trattati come numeri, si è lasciato fare a chi ha usato la cattedra prima come luogo di indottrinamento ideologico poi come occasione per insegnare il cinismo. Tanto un insegnante vale l’altro, per cui uno studente o una famiglia non ha il diritto ad avere il miglior insegnante possibile, ma si deve tenere quello che il caso gli ha attribuito.



Urge ripensare a questa illibertà che si è diffusa dentro la scuola e ha frenato tante energie positive, ma non è sul diritto a licenziare che si deve impostare una nuova organizzazione della docenza. Se così fosse sarebbe solo come dire ieri avevo cento posti di lavoro oggi ne ho cinquanta, per cui devo licenziare. Giusto. Ma rimane aperta sia la questione di chi licenzio sia come posso risolvere la questione del lavoro di chi devo licenziare.
Impostare in questo modo il problema è ridurlo a una pura contingenza economica, che pure c’è, ma che non implica nessun diritto, anzi porta a scelte gravi e dolorose.

Occorre invece avere il coraggio di rivedere le modalità di reclutamento per poter tenere insieme due principi che fino ad oggi la scuola italiana ha eluso programmaticamente: il primo è che un insegnante non è uguale all’altro, anzi ogni insegnante è ricco della sua originalità, della sua modalità di comunicazione, dell’intensità del suo sguardo; il secondo è che ogni studente ha diritto al miglior insegnante possibile per poter crescere, per diventare grande, per conoscere.

Reclutare è tenere insieme questi principi, è che un insegnante venga assunto per quello che vale e risponda al bisogno di educazione di studenti e famiglie, i quali a loro volta lo debbono poter verificare. Sarebbe un sistema del tutto nuovo e con questo si ristabilirebbero i diritti, di cui quello centrale è quello all’educazione. In questa direzione certamente anche l’illicenziabilità finirebbe, ma non per ragioni di conti dello stato, ma per la semplice ragione che chi non risponde al bisogno per cui è stato assunto è meglio che faccia un altro lavoro. Ancora una volta a stabilire il valore di un insegnante o di un altro non è lo stato, ma chi di un insegnante ha bisogno, e chi desidera conoscere non può sopportare di avere di fronte un insegnante che fa solo perdere tempo.