Il dibattito che ilSussidiario.net sta tenendo vivo sulla capacità o incapacità dei giovani a ragionare è di una attualità disarmante, è una delle questioni serie su cui la scuola dovrebbe confrontarsi, ma ahimè è difficile trovare chi lo voglia fare. L’articolo di Giovanni Gobber, che ha fatto seguito a quelli di Fedeli, Moro, Franzini e Nuvoli mi ha sollecitato  una domanda che vorrei tentare di affrontare e a cui spero ilSussidiario.net voglia dedicare l’attenzione che merita: mi sono mai sorpreso di fronte a giovani che sanno ragionare? In quali circostanze?
Spesso durante il lavoro in classe ho colto la ragione in atto negli studenti, e l’ho colta come domanda, come interrogativo di un legame tra quello che si sta facendo e la vita, come urgenza a capire cosa c’entri la conoscenza con la realtà quotidiana. A questo riguardo mi vengono in mente due esempi che si riferiscono all’anno appena finito. Il primo riguarda l’insegnamento della filosofia. Mi ha molto colpito in una classe terza cosa è accaduto dopo che avevo spiegato il relativismo di Protagora, il nichilismo di Gorgia, l’istanza di ricerca di Socrate e il mito della caverna di Platone con l’immagine della luce per indicare il rapporto con il vero. Idee di filosofi, ma queste hanno finito di essere idee, quando dentro la classe gli studenti, uno dopo l’altro, hanno cominciato a mettere in movimento la ragione e a cercare di capire come si ponevano di fronte al vero. Mi ha colpito che non esprimessero opinioni circa la credibilità dell’una o dell’altra dottrina, ma andassero a reperirla dentro la loro esistenza chiedendosi se fosse rispondente all’esigenza di vero che sentivano. Una sorpresa per me il lavoro che ne è nato e che io ho seguito imparando da loro più di quanto io immaginassi.
Il secondo esempio riguarda una classe quarta. Anch’io ho spiegato i fatti che permettono di capire i 150 anni di unità d’Italia e non avevo in mente altro, se non fare alcune lezioni e qualche momento di confronto. La classe mi ha superato per l’iniziativa di alcuni studenti che poi si è allargata a tutti. Si sono chiesti cosa c’entrasse con loro questa celebrazione. Non se fosse giusto farla, non se l’unità fosse realtà o utopia; la domanda centrale è stata: io di fronte a questo processo di unificazione dove sto? E questo ha avviato un lavoro di due mesi, in cui ognuno degli studenti della classe si è impegnato ad approfondire un aspetto dell’Unità italiana per cercare di cogliere il legame con la sua giovinezza. Questi due esempi per dire che scopro spesso la ragione in atto nei giovani, con questa sua caratteristica di domanda, di apertura ad un significato che c’entri con la vita, che la renda interessante, appassionante.
Questo a mio parere è il punto di approccio fondamentale alla questione posta da IlSussidiario.net e implica due aspetti che sono decisivi.



Il primo è lo sguardo dell’insegnante, se si sorprende per questa domanda, se valorizza questa apertura, se la coglie anche quando rimane implicita e la fa diventare esplicita. Senza questo sguardo di simpatia di fronte alla ragione che si apre al senso di ciò che si sta facendo i giovani non imparano a ragionare, anzi le loro energie critiche e creative vengono depresse dall’inizio e con grande difficoltà riusciranno ad emergere. Per ragionare, per imparare a farlo, per lanciarsi nella vertigine della ragione il punto di partenza è uno sguardo, un affetto che coglie l’umano nel suo sorgere, nel suo tentare il nesso con il reale.
Il secondo è che l’insegnante sappia seguire lo svolgersi della domanda, non voglia anticipare la risposta, non butti sullo studente il peso di quello che sa rendendo inutile cercare o non inserisca il dubbio sul tentativo che la domanda ha aperto. L’insegnante deve tornare alla sua natura, che è quella di aiutare a leggere i segni e a seguirli. E’ la realtà, quello che accade, gli ostacoli che si frappongono a insegnare a ragionare. Qui sta il problema serio dell’insegnante di oggi, perché di solito che cosa succede? Che un insegnante pensa che gli studenti imparino a ragionare se ripetono quello che lui dice e nel modo in cui lo dice. Ragionare sarebbe così una tecnica da apprendere. Invece è la realtà che conduce per mano ogni studente e se lui la segue impara l’uso della ragione, è la realtà che guida dentro il fascino della ragione e ne svela le infinite possibilità. Si tratta però di introdurre dentro la scuola un nuovo modo di insegnare, cioè che la proposta dell’insegnante faccia i conti con la domanda che suscita, ma li faccia realmente, piegandosi agli interrogativi che emergono e seguendone pazientemente le traiettorie. Un lavoro affascinante!

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