Ci sono molte ragioni per leggere Processo e morte di Stalin di Eugenio Corti, il novantenne scrittore brianzolo, autore di grandi romanzi come Il cavallo rosso, I più non ritornano e Gli ultimi soldati del re. Finalmente e meritoriamente ripubblicato quest’anno da Ares, il testo teatrale, una vera e propria tragedia “con tutte le implicazioni giudiziali, rituali e sacrali che il nome illustre e terribile comporta” (Mario Apollonio), risale all’inizio degli anni sessanta. Rappresentato  a Roma nel 1962 per iniziativa di Diego Fabbri, è scomparso dalle scene dopo le prime e uniche tredici repliche, fino al giugno di quest’anno, quando la compagnia teatrale degli Incamminati lo ha riproposto in tre memorabili serate al Teatro Manzoni di Monza, per la regia di A. Carabelli, con Franco Branciaroli nel ruolo di Stalin e con la presenza in scena di una ventina di studenti del Laboratorio teatrale del Liceo don Gnocchi di Carate Brianza (una volta o l’altra varrà la pena di riflettere sula valore culturale – educativo del teatro nella scuola).
Il testo ripercorre gli ultimi momenti della vita del dittatore georgiano fino alla morte che Corti immagina come una vera e propria esecuzione decisa dai vertici del partito, gli stessi che Stalin voleva a sua volta eliminare, al termine di un drammatico processo.
Che senso ha ripercorrere oggi questi eventi che Corti, occorre ricordarlo, ha fissato sulla pagine cinquant’anni or sono?
L’intellettuale spagnolo J. Semprun, recentemente scomparso, in un discorso tenuto a Francoforte nel 1994 (e pubblicato da Passigli editori in un prezioso libretto intitolato Male e modernità) ha efficacemente descritto il male di cui ha sofferto la cultura della sinistra europea fino, si può dire, ad oggi: “L’antifascismo europeo, e in particolare l’antifascismo tedesco, nella sua gradevole versione pacifista, antinucleare, ecologista…è diventato emiplegico. Nonostante le lezioni della guerra di Spagna, del patto tedesco – sovietico del 1939, nonostante il cinismo della politica di grande potenza dell’Urss nell’Europa del dopoguerra il pensiero antifascista occidentale, nella maggioranza dei casi, per non dire nel suo insieme, è stato emiplegico… Il suddetto pensiero non ha saputo elaborare una teoria e nemmeno una pratica…per affrontare il totalitarismo”. “Chi non vuole parlare dello stalinismo, dovrebbe anche tacere sul fascismo”, conclude Semprun, correggendo Horkheimer.
Una mancanza grave e densa di implicazioni, che rende ragione di tanti travagli del nostro recente passato e anche, direi, della grave crisi che la politica sta attraversando nel nostro paese.



Ma c’è di più: l’ideologia comunista è finita, ma non la tentazione dell’utopia. Il secondo soliloquio di Stalin è di sconvolgente attualità: “Se penso ai giganteschi sforzi che abbiamo compiuto! Sforzi che, senza retorica, possiamo definire da titani! Ma troppi ci si sono opposti! Abbiamo trasformato l’ambiente, e ciononostante gli uomini ostinatamente si rifiutano di trasformarsi; ecco: sono loro, gli uomini, che non rispondono. Tutta quanta la restante materia docilmente si trasforma: invece la materia uomo resiste caparbia. È lì dunque, sugli uomini, che dobbiamo agire con maggior energia, e senza più perdere tempo. Senza più perdere tempo”.
È il grande tema che si respira nelle pagine di V. Grossman, forse l’autore che nel novecento ci ha fatto sentire di più che cosa sia la persona, che cosa sia la libertà nella perenne lotta contro il potere, ai tempi di Stalin come oggi. Adelphi ha recentemente pubblicato una raccolta di straordinari racconti dal titolo “Il bene sia con voi!
Vale la pena leggerli, sia per chi conosce già il grande scrittore russo, sia per chi non lo conosce e avrà così modo di convincersi a inoltrarsi nelle grandiose pagine di Tutto scorre o ancor più di Vita e destino, uno dei più grandi romanzi del secolo scorso, che Jaca Book ha avuto il merito di far conoscere al pubblico italiano prima che Adephi ne proponesse una nuova traduzione.
A proposito di utopia, vale la pena ricordare le pagine di Benson nel suo romanzo Il padrone del mondo, pubblicato da Jaca Book e riproposto in una nuova edizione da Fede e cultura, con una prefazione del Vescovo di San Marino, Mons. Luigi Negri, che rivela tra l’altro l’apprezzamento e l’interesse di Benedetto XVI per il romanzo inglese composto all’inizio del Novecento. Vi si descrive il mondo governato da un umanitarismo clericale, con tanto di ministri di culto, riti e immagini che pretende di estirpare ogni residuo di imperfezione umana, con i suoi ministri dell’eutanasia e soprattutto con la figura del despota filantropo Giuliano Felsemburgh. Proprio all’inizio di agosto “Repubblica” ha ospitato l’ennesima versione di religione atea a cura dello scrittore svizzero  Alain de Botton, che prevede nuovi edifici affini a chiese, templi e cattedrali –  “ Immaginatevi una rete di chiese laiche, grandi spazi alti dove fuggire dalla baraonda della società moderna e concentrarsi su tutto quello che è al di là noi.” –  oltre a “una propaganda efficace in nome della bontà e della virtù” e infine una serie di “lezioni di pessimismo” per “contrastare i toni ottimistici della società moderna e ricondurci al pessimismo di fondo delle fedi tradizionali”.
Il romanzo di Benson non solo rivela il volto violento e distruttivo che si cela dietro la maschera di bontà del potere stordito dalla delirante utopia della auto redenzione, ma descrive bene la natura originale del cristianesimo che, nascendo dall’incontro con Cristo, non può essere ridotto a dottrina, teologia, morale o filantropia.

Le pagine di Benson ricordano due grandi autori cristiani del novecento: Solov’ev e Eliot.
Del primo ricordiamo le parole del suo Dialogo dell’Anticristo:
– Strani uomini…ditemi voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi: che cosa avete di più caro nel cristianesimo?
Allora si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: – Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità.
Di Eliot un passo dei Cori da La Rocca:
E il Figlio dell’Uomo non fu crocefisso una volta per tutte,
il sangue dei martiri non fu versato una volta per tutte,
le vite dei Santi non vennero donate una volta per tutte:
ma il Figlio dell’uomo è sempre crocifisso
e vi saranno sempre Martiri e Santi.
E se il sangue dei Martiri deve fluire sui gradini
dobbiamo prima costruire i gradini;
e se il Tempio deve essere abbattuto
dobbiamo prima costruire il Tempio.