L’Invalsi ha restituito, nel suo ultimo Rapporto, i risultati – relativi al campione – delle rilevazioni effettuate nelle classi II e V primaria, III della scuola media e II della scuola secondaria superiore. Le indicazioni che emergono in parte confermano aspetti già noti, ma in buona parte attestano anche cambiamenti interessanti, come la maggiore propensione degli studenti a rispondere ai quesiti a risposta aperta. Sulle principali novità abbiamo intervistato Roberto Ricci, responsabile nazionale del gruppo di lavoro che cura le rilevazioni, il rapporto e l’analisi dei dati. Sul problema della restituzione dei dati alle scuole, precisa Ricci, essi possono «rappresentare un’ottima occasione per le scuole per valutare in un’ottica più ampia l’effetto su alcuni apprendimenti di base delle scelte autonomamente assunte. È ormai chiaro che l’autonomia delle scuole non possa fare a meno anche di un confronto con l’esterno, poiché modi diversi di rispondere a esigenze differenti non possono però prescindere dal garantire a tutti determinati livelli di apprendimento».
A caldo, la stampa ha puntato l’attenzione sulle differenze territoriali dei risultati delle prove Invalsi. Cosa ne pensa? Si sente di sottolineare qualcosa di diverso?
Certamente i divari territoriali rappresentano un aspetto importante sul quale è opportuno avviare una riflessione per cercare le soluzioni più idonee per colmarli. Tuttavia, ci sono anche molte informazioni che meritano di essere messe in luce e valutate con attenzione nel prossimo futuro e a diversi livelli. I dati mettono in luce con una certa chiarezza che nel nostro Paese esistono già dalle prime classi forti differenze tra scuole, anche nel ciclo primario che, per sua natura, dovrebbe essere caratterizzato da una maggiore omogeneità rispetto a quello secondario. Un altro dato molto interessante, sia nella scuola del primo ciclo che in quella del secondo, è quello relativo alla popolazione di origine immigrata, distinguendo in base alla generazione.
Che cosa evidenzia questo dato?
Nel Centro-Nord, dove il fenomeno è numericamente più rilevante, si evidenziano risultati molto interessanti circa la riduzione della distanza degli esiti della popolazione di origine immigrata di seconda generazione rispetto a quella italiana. È importante comunque osservare che i dati e gli esiti di una rilevazione nazionale sono per loro natura complessi e articolati. È quindi importante che vengano letti con attenzione resistendo alla tentazione di cercare eccessive semplificazioni. Infatti, negli studi sociali ci sono sempre diverse piste interpretative che devono essere integralmente percorse per far emergere tendenze e fenomeni, altrimenti di difficile individuazione.
Dall’esame del campione emerge qualche indicazione sul livello di difficoltà delle prove?
Comprensibilmente questo è un tema molto sentito da tutti coloro che sono stati coinvolti, a vario titolo, dalle rilevazioni, inclusa la Prova nazionale. Le opinioni sono sovente le più differenti e ciò è assolutamente comprensibile, poiché esse si basano sulle esperienze individuali di ciascuno. Per trovare, invece, una risposta razionale e scientificamente fondata a questa legittima istanza l’Invalsi ha pubblicato un rapporto ad hoc sulle prove e sulle loro caratteristiche misuratorie.
Cosa emerge da questo rapporto?
Dal rapporto emerge che le prove sono adeguate per misurare i livelli di apprendimento degli allievi delle classi coinvolte nella rilevazione. Non sono né troppo facili, né troppo difficili. Un dato che emerge in modo abbastanza chiaro riguarda principalmente le prove di italiano, nelle quali c’è ancora spazio, date le attuali modalità di somministrazione, per introdurre alcuni quesiti per misurare meglio e in modo più dettagliato i livelli di competenza più elevati. In altre parole, sarà possibile nelle prossime edizioni introdurre, senza naturalmente eccedere, anche alcune domande in grado di descrivere meglio i livelli di eccellenza.
C’è qualche evidenza particolare riguardo la Prova nazionale delle superiori?
Dal punto di vista del funzionamento delle prove, l’Invalsi è molto soddisfatto, poiché si è riscontrata una perfetta coerenza sia con gli esiti dei pre-test, sia con i risultati delle prove Pisa 2009. Diverso è, invece, il discorso per ciò che riguarda gli esiti degli studenti. Dai dati del campione emerge, geograficamente parlando, un’Italia a tre velocità, con differenze molto preoccupanti tra le regioni del Nord del Paese e quelle meridionali. Tuttavia, non mancano anche esiti positivi.
Quali sono?
Primo fra tutti la conferma della buona riuscita delle scuole della Puglia che conseguono risultati in linea con quelli nazionali e non con quelli delle regioni del Mezzogiorno, solitamente meno soddisfacenti. Un altro dato molto interessante riguarda la matematica. Infatti, si riscontra che nelle regioni del Nord non vi è sostanziale differenza, statisticamente parlando, tra i risultati dei licei e quelli degli istituti tecnici. Viene così smentita, almeno in parte, l’opinione comunemente diffusa nel Paese che i licei conseguano sempre e comunque risultati migliori degli altri tipi di scuola. Inoltre, il fatto che questo risultato si riscontri proprio sulla matematica è molto importante, poiché essa rappresenta un ambito in cui l’azione della scuola è assolutamente determinante, di più che per la comprensione della lettura e la conoscenza della lingua che, come noto, maggiormente risentono dell’ambiente di provenienza degli studenti.
Riguardo al divario tra Nord e Sud, quali possono esserne le cause?
Il rapporto che è stato appena pubblicato dall’Invalsi fornisce una prima analisi sugli esiti delle prove. Lo studio delle determinanti delle differenze, specie quelle territoriali, richiederà approfondimenti e studi successivi. Su aspetti così rilevanti è molto importante il concorso di diversi soggetti nella ricerca di piste interpretative ed esplicative. In questo senso l’Invalsi intende confermare il proprio ruolo a servizio dell’intera collettività, mettendo a disposizione di tutti, nel pieno e rigoroso rispetto della normativa sulla protezione dei dati, le basi di dati sulle quali condurre ricerche ad hoc. È fuor di dubbio che le ragioni alla base del divario territoriale che, soprattutto nelle scuole secondarie di secondo grado, a volte suddivide il Paese addirittura in tre aree (Nord, Centro e Sud) affondino le loro radici in molteplici cause, fortemente correlate fra di loro.
Secondo lei, quali possono essere?
Certamente il contesto socio-economico-culturale svolge un ruolo molto importante e in parte spiega la diversità degli esiti tra la prova di italiano e quella di matematica. Infatti, è noto che l’origine dell’allievo pesa mediamente in misura maggiore sui risultati di italiano anziché su quelli di matematica. Tuttavia, vi sono anche altri elementi che giocano certamente un ruolo altrettanto rilevante. Scopo dell’Invalsi è quello di contribuire alla loro individuazione e di fornire alla comunità i dati sui quali condurre approfondimenti che aiutino a individuare spiegazioni empiricamente verificabili di tali divari. È, infatti, molto importante cercare di fare luce sulle dinamiche che li governano, poiché essi rappresentano un problema per tutto il Paese, non solo per le regioni direttamente interessate.
La scelta di una prova unica per tutte le scuole superiori è stata a suo tempo criticata. Alla luce dei risultati cosa si può dire a tal riguardo?
I risultati paiono confermare la validità della scelta effettuata per la rilevazione del Servizio nazionale di valutazione (Snv) del 2011. È importante confrontare l’esito dei ragazzi prossimi alla fine dell’obbligo scolastico su prove uguali per tutti. Non si deve dimenticare che questo è un ottimo strumento, anche se non l’unico, per poter misurare la performance del sistema scolastico nazionale e regionale in termini di equità garantita e di capacità di coniugare equità ed eccellenza, sfida non banale, ma non impossibile. Ciò non toglie che in futuro possano essere introdotti anche alcuni elementi di differenziazione delle prova, ma essi avranno comunque un’incidenza modesta rispetto all’impianto complessivo delle prove, a meno di non cambiarne il disegno e le finalità per cui esse sono pensate e realizzate.
È stato detto che l’esame di terza media era di facilità eccessiva. È così?
La risposta a questa domanda è sostanzialmente la stessa che ho dato prima sul livello di difficoltà delle prove. Mi sento di aggiungere che la percezione collettiva è influenzata anche dal sistema di attribuzione del voto che è altra cosa rispetto alla difficoltà della prova, per quanto i due aspetti siano strettamente collegati. In termini di voto medio, la Prova nazionale di quest’anno è andata meglio, anche se non di tantissimo, rispetto a quella dell’anno precedente. Ma non tanto per maggiore o minore facilità delle domande, ma, soprattutto, per una sensibile riduzione delle omissioni nelle domande a risposta aperta, in particolare quelle di matematica. In questo senso, sembra riscontrarsi una maggiore disponibilità degli allievi a mettersi in gioco per fornire le risposte ai quesiti, soprattutto a quelli aperti che, per loro natura, richiedono uno sforzo maggiore e che sovente sono anche più complessi.
A proposito delle domande aperte, che altre considerazioni si possono fare in base ai risultati e al rapporto con le risposte omesse? Ci sono stati cambiamenti rispetto al passato?
Questo aspetto è certamente molto interessante e sarà oggetto di un approfondimento specifico. I nostri esperti, sia di italiano sia di matematica, stanno già analizzando i dati proprio in questa prospettiva. Già da una prima analisi, tuttavia, emerge nelle prove di quest’anno una sensibile riduzione delle omissioni e, contemporaneamente, un considerevole aumento delle risposte alle domande aperte. Questo dato andrà certamente approfondito e l’Invalsi intende farlo, ma di per sé esso indica un atteggiamento positivo degli studenti verso le prove. È molto importante che i ragazzi si cimentino di più con le domande a risposta aperta, poiché ciò è indice di un approccio molto più consapevole e maturo alla prova.
Come ha inciso il fattore tempo nello svolgimento delle prove? Ci saranno dei cambiamenti al riguardo in futuro?
L’allungamento dei tempi delle prove è stato certamente un fattore di novità rispetto alle edizioni degli anni passati. In primo luogo, è bene osservare che esso è la risposta alle molteplici istanze pervenute dalle scuole e dagli insegnanti. In questo senso, l’Invalsi ritiene fondamentale e di cruciale importanza coltivare e incentivare questo dialogo, proprio per acquisire tutte le sollecitazioni che provengono dalla scuola che quotidianamente affronta i problemi e le sfide dell’insegnamento e dell’apprendimento degli studenti. Tempi più distesi hanno certamente avuto come risultato quello di consentire ai ragazzi di svolgere le prove con maggiore serenità, con un evidente impatto positivo sulla riduzione delle mancate risposte. Nel complesso, l’esito di questo allungamento dei tempi è giudicato dall’istituto molto positivamente, anche perché esso consentirà nelle prossime edizioni di trovare lo spazio necessario per quelle domande, soprattutto di italiano, in grado di descrivere meglio e più accuratamente i livelli di apprendimento più elevati e di eccellenza.
I dati riescono a dire già qualcosa sul fenomeno del cheating, ovvero dei trucchi messi in atto per copiare?
Per ora le analisi sono state condotte solo sul campione, mentre per i dati di popolazione, ossia di tutte le classi, bisognerà attendere i primi mesi del prossimo autunno. In linea generale, sempre sui dati campionari, si evidenziano in alcune aree tradizionalmente interessate dal cheating dei miglioramenti che confermano la tendenza positiva già riscontrata l’anno passato.
Ci sono elementi per dire che se mancano degli osservatori ci sono aeree del Paese, specie al Sud, dove tutti gli studenti copiano?
È fuori di discussione che la presenza degli osservatori svolga un ruolo importante, ovunque, non solo nelle regioni del Mezzogiorno. Le analisi che tradizionalmente vengono condotte per individuare i cosiddetti comportamenti opportunistici hanno messo in luce per il passato una certa differenza tra il campione, in cui è presente l’osservatore esterno, e la popolazione generale. L’auspicio è che il fenomeno del cheating sia in calo anche sulla popolazione e non solo nelle classi campione, almeno nelle regioni che in questi due anni hanno visto un’apprezzabile riduzione del cheating. Personalmente sono abbastanza ottimista, confidando nel fatto che sempre di più si diffonda nel Paese la consapevolezza che le rilevazioni dell’Invalsi sono misurazioni che rispondono all’esigenza di fornire alle scuole dati comparabili sui quali verificare l’effetto delle scelte autonomamente assunte.
La restituzione dei dati alle scuole ha alimentato discussioni e polemiche. L’istituto quale approccio suggerisce?
La restituzione dei dati alle singole scuole è un aspetto molto importante e qualificante per il Snv. Ritengo assolutamente normale e fisiologico che il dibattito a questo riguardo sia acceso e ricco di posizioni diverse. Anzi, credo sia fondamentale che vi sia discussione a questo riguardo. Solo così i dati forniti alle scuole possono diventare veramente un motore di miglioramento, naturalmente insieme ad altri. Senza alcun dubbio, l’Invalsi suggerisce e incoraggia l’uso dei dati per approfondire il dibattito all’interno delle scuole per ragionare sugli esiti ottenuti. Già dall’anno passato le scuole hanno a loro disposizione tantissime informazioni che insieme ai quadri di riferimento, alle guide alla lettura dei risultati e alle prove stesse possono favorire il confronto all’interno di ciascuna istituzione scolastica. È indubbio che le prove standardizzate e, conseguentemente, i loro esiti non possano esaurire il vastissimo campo sul quale effettuare riflessioni didattico-metodologiche, ma è altresì vero che essi sono fondamentali per un’analisi comparativa rispetto a quesiti affrontati da tutti gli allievi che frequentano la scuola italiana.
Come possono le scuole sfruttare al meglio i dati dell’Invalsi?
Mi pare che i dati forniti dall’Invalsi possano rappresentare un’ottima occasione per le scuole per valutare in un’ottica più ampia l’effetto su alcuni apprendimenti di base delle scelte autonomamente assunte. È ormai chiaro che l’autonomia delle scuole non possa fare a meno anche di un confronto con l’esterno, poiché modi diversi di rispondere a esigenze differenti non possono però prescindere dal garantire a tutti determinati livelli di apprendimento, soprattutto quando si parla degli apprendimenti di base che sono una chiave d’accesso fondamentale alla cittadinanza attività. La disponibilità di dati può, infatti, contribuire in modo significativo a tenere sotto controllo quali siano gli effetti delle scelte delle singole scuole sull’equità generale del sistema scolastico. È quindi assolutamente naturale che su temi così importanti e cruciali il dibattito sia acceso e vivace. L’assenza di dibattito, questa sì, sarebbe una pessima notizia.