Non è un tema inedito, quello delle nuove modalità di formazione e reclutamento dei docenti, e anche sulle colonne de IlSussidiario.net se ne è dibattuto ampiamente in questi ultimi mesi (e ultimamente anche su Repubblica del 28 agosto); quanto sta accadendo, però, è troppo grave per lasciar cadere la questione nell’oblio, dato che l’attenzione dell’opinione pubblica è attualmente catalizzata da altre – e apparentemente più gravi – emergenze. Soprattutto per le scuole paritarie, nuovamente discriminate e danneggiate, sono in gioco aspetti che costringono ancora una volta ad alzare la voce per farsi sentire e sollecitare un deciso cambio di rotta. Pertanto non sarà inutile, per “rinfrescare le idee”, tentare un riepilogo della vicenda evidenziandone alcune criticità.
Le scuole paritarie, come previsto dalla Legge 62/2000, per ottenere e mantenere la parità sono tenute ad utilizzare docenti in possesso di abilitazione all’insegnamento; in Italia, però, dal 2007 (con l’abolizione delle Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario – Ssis) ai giovani laureati non è più stata data la possibilità di conseguire l’abilitazione, per cui più di 60.000 giovani, in questi anni, hanno iniziato ad insegnare nelle scuole, statali e paritarie, anche senza il titolo di abilitazione, con rapporti di lavoro a tempo determinato.
Da parte sua, in questi giorni, il Ministero dell’Istruzione ha reso noti i dati ipotizzati per l’accesso ai nuovi percorsi di abilitazione (TFA) che dovrebbero partire nel prossimo autunno: i posti previsti per i TFA abilitanti sono circa 10mila e riguardano tutte le classi di concorso della scuola secondaria di primo e secondo grado (per i corsi di laurea in scienze della formazione primaria finalizzati ad abilitare i docenti delle scuole primaria e dell’infanzia, invece, sono stati già previsti in via definitiva circa 5mila posti).
Questo numero, però, deve essere suddiviso tra le varie Regioni, per cui, a conti fatti, i posti di TFA previsti a livello regionale per ogni classe di concorso, nella maggioranza dei casi, non arrivano alla decina; si tratta, evidentemente, di un numero di posti del tutto inadeguato a rispondere al fabbisogno della scuola italiana (si pensi ai circa 250mila docenti non di ruolo utilizzati ogni anno e alle 30mila nuove assunzioni di questi giorni…).
La norma vigente (DM 249/2010) prevede che l’accesso a tali percorsi vada definito in base al fabbisogno della scuola statale incrementato del 30%, in ragione delle esigenze di tutto il sistema nazionale di istruzione (scuole paritarie, IFP regionale…); i responsabili del ministero, invece, hanno furbescamente calcolato i posti di TFA prendendo a riferimento non il “fabbisogno”, come previsto dalla norma, ma la metà dei pensionamenti ipotizzati per i prossimi anni. Il risultato è una previsione di posti talmente esigua da precludere di fatto, alla maggior parte dei giovani che già insegnano, la possibilità di conseguire l’abilitazione. Il paradosso, inoltre, è che così facendo si affossa completamente la riforma del sistema abilitante appena varata dal ministero stesso, che pure aveva tenuto distinte le modalità di abilitazione all’insegnamento dalle procedure di reclutamento dei docenti statali.
In conseguenza di ciò, le scuole paritarie si troveranno sempre più in difficoltà nel reperire personale abilitato e onorare quindi quanto prescritto dalla legge 62/2000; i tanti giovani che vi lavorano, inoltre, non solo (in massima parte) non potranno accedere ai TFA, stante l’esiguità dei posti, ma rischieranno di dover cambiare lavoro, perché per le scuole paritarie valgono le regole europee sulla durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato (36 o 60 mesi), che si derogano invece per la scuola statale.
Se non saranno adottati dei correttivi, insomma, la proposta attuale finirà per provocare gravissimi danni a vari livelli:
Precludendo di fatto ai giovani che già lavorano, o che iniziano oggi l’università, la prospettiva dell’insegnamento, con un danno incalcolabile al futuro del paese;
Discriminando le scuole paritarie, alle quali si impongono obblighi non onorabili;
Rinnovando la deleteria sovrapposizione tra Stato regolatore (cui compete stabilire quando un cittadino possa esercitare la professione docente) e lo Stato gestore (preoccupato di quanti dipendenti è in grado di assumere).
In tempi di crisi, più che mai, è necessario ripartire dall’educazione. Solo l’educazione infatti può garantire la crescita del fattore più importante per ogni società civile: l’uomo. E’ per questo che chiediamo al Ministero di rivedere completamente le proposte fatte in materia di TFA e garantire l’avvio rapido di percorsi adeguati alle esigenze dei giovani e delle scuole. Non è in gioco, appena, un aspetto fra gli altri della complessa e spesso astrusa macchina del sistema d’istruzione italiano, ma il futuro stesso del nostro paese.