Caro direttore,

ho avuto, ed ho, una parte non piccola nella definizione prima e nell’attuazione ora della formazione iniziale docenti. Sono, come spesso si dice, una persona informata dei fatti, cui di solito è riconosciuto il merito di una “scabra sincerità”. Di fronte alle polemiche di queste settimane sui “numeri” della formazione iniziale mi sono tenuto in disparte, non lo faccio di fronte all’appello  “L’Italia è un paese per vecchi?” lanciato da giovani che fanno riferimento a una vasta area politica e culturale, la stessa di Mario Mauro e Maurizio Lupi, che per primi hanno ritenuto di denunciare una supposta scarsità nei contingenti destinati alla formazione dei futuri insegnanti.



Ora, vorrei cercare, per quanto possibile, di andare al nocciolo della questione, evidenziando alcuni fatti che, proprio perché verificabili, non si possono prestare a fraintendimenti o strumentalizzazioni. Sono lì, piacciano o meno. Conosciuti non da oggi e spesso concordati con tutti gli “attori” coinvolti.

Come ha ricordato Giorgio Israel in una recente intervista a Ilsussidiario.net, il decreto sulla formazione iniziale, rapidamente delineato nelle sue linee generali, ha subito un lungo e non facile lavorio. Un lavorio, e lo sanno bene alcuni amici come Fabrizio Foschi e Luciano Clementini che quasi quotidianamente hanno visto il testo modificarsi, dovuto soprattutto alla necessità di aprire un confronto tra accademia e mondo della scuola. Rivendico quel tempo, un tempo non perso, ma investito. Era necessario che i fili si riannodassero, e ciò è stato fatto, come da più parti riconosciuto. Era anche necessario superare, di fronte alle magistrature di controllo, il fuoco di sbarramento scatenato, contro un provvedimento privo (lodevolmente) di sanatorie, da chi rivendicava come “diritto acquisito” i colpi di spugna all’insegna del “todos Caballeros” che hanno funestato le politiche del personale scolastico.



Bene. Tutto questo è stato fatto, come ben sa Giorgio Israel, col quale tutti i passi (norme transitorie comprese) sono stati discussi, approfonditi, concordati. E a tempi di record, almeno per l’Italia. Per fare un esempio, tra la legge istitutiva delle Scuole di specializzazione per l’insegnamento e di Scienze della Formazione primaria e la loro attuazione passarono nove anni. Ma la tenacia è, fortunatamente, la “cifra” del ministero Gelmini (e cito la riforma della secondaria superiore con le nuove indicazioni nazionali, la riforma dell’università, la Fondazione per il Merito, l’istituzione dell’Anvur… e mi fermo per brevità): una tenacia e una capacità di “portare a casa” provvedimenti attesi da lustri che forse non le viene, da alcuni, perdonata. Anche in questo caso, nell’anno accademico 2011/2012, l’intera nuova formazione iniziale vedrà la luce, nei tempi e nelle modalità previste.



Ora, ci sono alcuni punti del provvedimento che, in tanto lavorio, non sono stati mai messi in dubbio. Uno di questi punti è costituito dalla programmazione degli accessi. Mai, dico mai, l’articolo 5 del decreto 249/2010 (1. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca definisce annualmente con proprio decreto la programmazione degli accessi ai percorsi di cui agli articoli 3 e 13. 2. Il numero complessivo dei posti annualmente disponibili per l’accesso ai percorsi è determinato sulla base della programmazione regionale degli organici e del conseguente fabbisogno di personale docente nelle scuole statali ed è deliberato ai sensi dell’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, previo parere del ministero dell’economia e delle finanze e del ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, maggiorato nel limite del 30% in relazione al fabbisogno dell’intero sistema nazionale di istruzione,  e tenendo conto dell’offerta formativa degli atenei e degli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica) è stato messo in dubbio, mai ne è stata chiesta la cancellazione se non da coloro i quali nutrivano le speranze di far saltare il provvedimento per provocare un’ennesima sanatoria. Mai. Né nei pareri formali, né nei pareri informali, né nei momenti di lavoro. Se si voleva mettere in dubbio la “ratio” della programmazione, c’era tutto il tempo e il modo per farlo a tempo debito: e si avevano anche gli interlocutori e le sedi giuste per farlo.

E perché programmare? Per gli stessi motivi che, anni fa, hanno portato al numero chiuso in diverse facoltà che davano accesso a professioni in parte libere, in parte a reclutamento statale (penso, ma non solo, a medicina), uscendo dall’ubriacatura sessantottina che contrabbandava il diritto allo studio col diritto ad avere un titolo, a prescindere dalla preparazione di chi lo conseguiva.  

Occorre, dunque, creare una platea di “abilitati” selezionata. Non metto in dubbio che, oggi, in molti vogliano fare il docente (unico comparto pubblico ad assumere: altro punto messo a segno dal ministero dell’istruzione). Quanti di costoro ne abbiano invece le caratteristiche, è un altro paio di maniche. I Paesi che hanno sistemi di istruzione dalle performance migliori del nostro selezionano i loro docenti tra i migliori laureati. Ebbene, il numero programmato seleziona la platea di coloro i quali potranno accedere alla professione, sia attraverso il nuovo reclutamento statale, sia direttamente dalle scuole paritarie. Ma proprio in quest’ultimo settore va preservata la qualità del personale, fermo restando che il requisito è quello dell’abilitazione e che va stroncato l’indegno mercato di quei diplomifici di cui tanto si parla sul web, che sfruttano docenti abilitati o meno pagando loro i contributi, consentendo loro di acquisire punti in graduatoria, ma magari senza corrispondergli effettivamente lo stipendio.

Il parametro previsto dall’articolo 5 è utilizzato per la programmazione dei posti per la formazione iniziale docenti. Sulla programmazione sono girate “cifre in libertà”, frutto delle varie elaborazioni preparate dall’amministrazione e inopinatamente messe in circolo da qualche mano più o meno consapevole delle polemiche che ne sarebbero seguite. Oggi, con i numeri pubblici, sia pure per grandi aggregazioni territoriali, si evince come chi parla di “strada sbarrata ai giovani” sbagli. Sono certamente numeri ristretti. Non numeri bassi. Peraltro superiori a quelli dell’ultimo ciclo SSIS. Per Scienze della formazione primaria, i dati della programmazione degli accessi sono risultati pienamente soddisfacenti, innanzitutto per gli Atenei che, anzi, non sono riusciti a “colmare” le necessità. Ricordo, per inciso, come le SSIS più serie non coprissero l’intero contingente messo a bando, per evitare di ammettere ai percorsi aspiranti non pienamente adeguati. E meno male che lo hanno fatto. Non è la carta di identità, ma la preparazione a consentirci di risalire la china e a vincere la sfida educativa.

Insomma, i numeri selezionano, come è giusto che sia. Non precludono ai giovani, ma mettono una soglia di accesso alta, che è la soglia di accesso che si deve pretendere sia superata da chi, elettivamente, ha in mano il futuro del paese. Affermare che si salteranno sette o dieci anni è indimostrato e sbagliato, e lo dimostreranno, più che le mie parole, i dati anagrafici degli iscritti ai primi percorsi.

Così come è sbagliato affermare che ci sia una strategia volta a privilegiare chi è inserito nelle graduatorie ad esaurimento. Costoro hanno, come sancito dalla legge, diritto al 50% dei posti disponibili, mentre l’altro 50% è affidato al nuovo reclutamento. Non c’è nulla di nuovo. La legge c’è da anni e i diritti acquisiti (e sacrosanti) da chi è stato messo, non per propria responsabilità, in lista di attesa, vanno tutelati. Erano, mi tocca ricordarlo, giovani a loro volta. E magari (parlo del nono ciclo SSIS) giovani sono tutt’ora.

Ma è sul nuovo reclutamento che sarà opportuno, da subito, lavorare. Per evitare che i nuovi giovani facciano la stessa fine dei vecchi giovani, strangolati dall’Idra di Lerna delle graduatorie. La divisione tra reclutamento statale e abilitazione è già sancita, dal DM 249 e, ancor prima, dalla finanziaria che chiuse le graduatorie ad esaurimento. Un dato acquisito, dunque. La prima gamba del sistema è stata costruita, ora si tratta di costruire la seconda. Magari facendolo insieme. Come, sino a un mese fa, insieme si è costruita la formazione iniziale.

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