Una scuola politicamente corretta e paritaria. Nel senso che, alunni e docenti, vivono un rapporto alla pari. E’ il concetto di fondo del “manifesto per una nuova scuola” pubblicato oggi da Repubblica. Un articolo della scrittrice Mariapia Veladiano dal titolo: “La buona educazione”, che contiene alcuni concetti «dall’effetto dirompente sulla vita degli alunni e della società; l’applicazione dei quali contribuirebbe a mandare in rovina quel poco che resta della nostra scuola», dice, interpellato da ilSussidiario.net, Marcello D’Orta, autore del best seller “Io speriamo che me la cavo”. Tali concetti ricordano qualcosa di già sentito: il ragazzo cresce in un rapporto fondato sul dialogo. E nient’altro. Il concetto del dovere, il rispetto delle regole che implica, anche, l’idea della punizione come sistema correttivo, la disciplina, la gerarchia, la consapevolezza dei ruoli reciproci e dell’autorità come punto di riferimento che aiuta a sviluppare il proprio io; tutto da buttare. Dal postulato, la deduzione pratica. Ad esempio: «dal bullismo al cattivo risultato scolastico – scrive la Veladiano -, ci si trova, insieme, seduti intorno a un banco, si stende un impegno in pochi punti, sottoscritto dal ragazzo, dal genitore, dal docente».



Cosa ne pensa?

«Anzitutto, bisogna vedere di fronte a quale tipo e grado di bullismo – un termine piuttosto abusato – siamo di fronte. Questo sistema, in alcuni casi, forse potrebbe portare anche a qualche risultato. Per esempio con il ragazzo discolo, che infastidisce i compagni; ma che, del resto, è sempre esistito,e che in realtà, non possiamo considerare un vero e proprio bullo. Di fronte invece a episodi di bullismo reale – microcriminalità, pestaggi ecc… –  mettersi attorno ad un tavolo e discutere col ragazzo sul da farsi dubito che possa servire e qualcosa».



Dietro la ricetta, c’è una visione del mondo ben precisa: quella secondo cui professori e alunni devono interagire da pari, confrontandosi sul medesimo livello e vaporizzando le gerarchie.

E un altro errore, e non da poco. Lo stesso che compiono i genitori che si comportano da amici con i propri figli. Il padre, in alcune circostanze, può anche essere un amico. Ma, l’amore nei confronti dei figli si dimostra, anzitutto, facendo il padre. Lo stesso principio vale per la scuola. Andavo spesso a trovare i miei ragazzi nelle loro abitazioni, li portavo in gita anche al di là degli orari scolastici. Ma, per loro, ero anzitutto il docente. Invertendo le scale gerarchiche si provano effetti devastanti sulla vita dei ragazzi.



Non si può bocciare se mancano solo una o due materie. Non si può bocciare tout court. E’ un altro punto indicato dal “manifesto”.

Effettivamente, in alcuni casi si creano dei paradossi. Io, ad esempi, ero stato bocciato in matematica. Frequentavo l’Istituto d’arte, e nelle materie di indirizzo andavo eccellentemente. Eppure, per una sola materia, ho perso un anno intero. In casi del genere, non trovo giusto che si debba ripetere un anno. Ma in altri è doveroso. Ad esempio, quando il numero di materie in cui si va male diventa eccessivo. E, soprattutto, quando ci si rende conto che il ragazzo non è che non ha potuto, ma non ha voluto impegnarsi.

Ad esempio?

Ho insegnato in quartieri molto difficili: Secondigliano, Forcella, Arzano. Lì l’impegno scolastico dei ragazzi era molto limitato da fattori indipendenti dalla loro volontà. Famiglie numerosissime, l’assenza di una stanza in cu studiare, la necessità di aiutare i genitori, magari pasticceri o fornai, lavorando la notte. Da loro non potevo pretende un impegno eccessivo. Ma quando il ragazzo si trova nelle condizioni adeguate per poter dare il massimo, ma non fa nulla, non bocciarlo gli provocherebbe un danno immane. Deve capire che la scuola è un tassello fondamentale della sua vita e consentirgli di accedere alla classe successiva nonostante l’insufficienza in più materie e l’assenza di impegno rappresenterebbe una sconfitta per tutta la società. La bocciatura serve, infatti, per fargli comprendere che con la vita e con la scuola non si scherza.

La Veladiano considera la “condotta” un termine militare, da sostituire con “capacità relazionale”…

Non ci vedo nulla di militare. Il militarismo, in certi ambienti, viene visto un po’ ovunque. Per esempio, sono in molti a sostenere che il grembiule, l’”obbligare” il ragazzo a indossare una “divisa”, ne annulli la personalità e abbia un qualcosa di fascista. Quando, in realtà, serve solo a non sporcarsi.

Che opinione si è fatto, in generale, del manifesto pubblicato da Repubblica?

Mi sembra una ricomparsa della cultura del ‘68, quando si scandivano slogan come “fantasia al potere”, o “vietato vietare”. Il ritorno di una cultura che, soprattutto all’interno della scuola, ha prodotto gli sfaceli ai quali assistiamo ogni giorno. Siamo nell’anarchia completa, dove sono saltate tutte le figure di riferimento. I genitori ricorrono al Tar per una minima bocciatura. E, nove volte su dieci il Tar dà loro ragione. Siamo, del resto, tra i Paesi in Europa con più alunni promossi e, al contempo, quello in cui, tra gli stessi, c’è uno dei più alti tassi di ignoranza.