Finalmente un cambiamento di rotta. Ha avuto un esito positivo la riunione sull’accesso alla professione di insegnante che ha avuto luogo sabato a palazzo Chigi alla presenza del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Erano presenti il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, l’on. Maurizio Lupi e alcuni tra i primi firmatari dell’“appello pubblico in difesa delle giovani generazioni, del futuro della scuola, dell’università e del nostro paese”. Come emerge dal comunicato del ministero dell’Istruzione “Le parti si sono dette reciprocamente soddisfatte dell’incontro. Viene, infatti, da un lato confermato nella sua sostanza il regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti (così come previsto dal Miur) e, dall’altro, valorizzato l’elemento dell’offerta formativa delle università nella determinazione del numero dei posti da assegnare per l’accesso alle abilitazioni”.



Dobbiamo prendere atto con soddisfazione della rinnovata disponibilità offerta dal ministro Gelmini ai giovani che aspirano all’insegnamento. L’esito dell’incontro con i promotori dell’appello pone fine al fraintendimento che aveva provocato nelle scorse settimane l’allarme di molti ed importanti settori della vita civile italiana. Aver chiarito che si punterà non solo sul fabbisogno degli insegnanti ma anche sulla capacità dell’offerta formativa delle università restituisce dignità alla professione di insegnante e apre lo spazio ai giovani.



La condizioni per la soluzione erano state affrontate in una riunione favorita dal nuovo segretario del Pdl Angelino Alfano con il ministro Gelmini nella quale avevo avuto modo di chiarire come il problema di fondo per innescare un processo di qualità della scuola rimanesse un meccanismo di reclutamento non più condizionato da punteggi accumulati tramite le supplenze, ma finalmente aperto alla reale preparazione di coloro che vogliono fare gli insegnanti. Ovvio infatti che abilitarsi non significhi tout court avere il posto garantito: un avvocato abilitato non ha la garanzia che gli venga affidata una causa. Un insegnante è abilitato ad esercitare la sua professione, non può essere costretto da un meccanismo di pianificazione di tipo sovietico a far corrispondere la possibilità di insegnare al liberarsi di un posto nella scuola statale.



Giusto non illudere i giovani, ma ancor più giusto mettere coloro che sono determinati ad esercitare la professione di insegnante e appassionati all’opera dell’educazione nelle condizioni di competere abilitandosi. Il punto d’incontro si è trovato tenendo conto che le SSIS sono state sospese tre anni fa e che sicuramente quest’anno non partiranno le lauree specialistiche per la secondaria di secondo grado, il numero dei potenziali aspiranti all’abilitazione di qui a tre anni si aggira intorno alle 40-50mila unità; questa è la cifra che ragionevolmente può essere indicata per il solo TFA transitorio. Si noti che, secondo la media degli ultimi concorsi SSIS, i posti per i soli TFA abilitanti quest’anno avrebbero dovuto essere almeno pari a 36mila.

Se requisito per l’accesso ai nuovi concorsi è il possesso dell’abilitazione all’insegnamento, occorre far partire prima possibile i TFA con il più ampio numero di posti al fine di consentire il conseguimento del titolo in tempo utile per la partecipazione ai nuovi concorsi.

È importante si sia compreso che il problema del precariato non si elimina chiudendo gli accessi all’abilitazione, ma da un lato valorizzando, come è stato fatto, la capacità di offerta formativa delle università, e dall’altro cominciando un cammino capace di incidere in una visione statalista della scuola che è servita solo, finora, a mortificare la natura della professione docente.