Tema: inizia un nuovo anno scolastico. Come lo immagini, cosa ti proponi? Se penso allo svolgimento, penso a come si sono svolti i tanti altri che ho vissuto da una cattedra: iniziati a passo lento e allegro, lunghe falcate, con tante speranze e tanti progetti, che si spengono pian piano nella routine, spezzati e appesantiti da riti burocratici di cui è difficile immaginare l’utilità, dalla difficoltà di ritrovare ogni giorno un senso. Per arrivare tutti con il fiato grosso, studenti e insegnanti, al momento liberatorio in cui il registro finirà in uno scatolone. No, non mi sembra il modo migliore per cominciare, e poi (come tutto) Leopardi l’aveva già detto meglio. Penso invece a qualche parola che ho scambiato nei giorni scorsi con Isabella, tredicenne, che inizia quella che una volta si chiamava terza media. E che in realtà tutti chiamano ancora così: di fronte ai burocrati che vogliono cambiare la realtà con la loro neolingua, spesso la risposta migliore è il rifiuto.
Isabella va bene a scuola, più o meno in tutte le materie; ha la fortuna di crescere in un posto che non è la provincia profonda e isolata, ma è però sufficientemente fuori dalla città per consentire dei rapporti personali e sociali. Anche la sua scuola, per quel che sento, riesce ancora a lavorare in modo dignitoso, dedicando un po’ di attenzione alla crescita dei ragazzi e non solo a circolari e graduatorie, alla libertà obbligatoria dei progetti calati dall’alto. Isabella, come molti dei suoi compagni, ha alle spalle una famiglia che la segue e che le dà degli stimoli; forse a volte troppi, ma è difficile limitarsi, in questi tempi bulimici.
Eppure, Isabella dice che a scuola non va volentieri. Mi annoio, è la sua sintetica risposta. Mi viene in mente uno scrittore che andava di moda quando avevo la sua età, e che con i discorsi sulla noia ci campava alla grande. Ma qui stiamo parlando di me e di come posso lavorare quest’anno: riuscirò a sfuggire alla noia, a tenerne lontani i miei ragazzi? Cerco sempre di non far mai due volte la stessa lezione con le stesse parole, di fare a coriandoli programmi e libri di testo, di inventare linguaggi e metafore. Eppure, so che spesso loro trovano le mie lezioni noiose, e li capisco, perché spesso sono noiose anche per me. Ma che nella vita esista una componente di noia, di ripetitività, Isabella lo ha già capito e riesce a conviverci: mi è capitato di vederla compilare pagine e pagine di esercizi per le vacanze, tutti identici, e cavarsela abbastanza bene.
Forse allora non è questa la noia che la spaventa. Isabella, quest’anno per te è importante, entro pochi mesi dovrai decidere che cosa fare per i prossimi cinque anni, e questa scelta potrà vincolarti anche per molto tempo dopo: hai qualche idea? No, non ho ancora deciso, non ci ho ancora pensato abbastanza. Qui ti vorrei rispondere con le frasi che ripeto ai genitori tutte le volte che si fa “orientamento”, e che direi anche ai tuoi: la scuola deve insegnare ad essere responsabili, a scegliere: non necessariamente per tutta la vita, ma almeno per i prossimi anni, così poi avrete degli strumenti per scegliere quel che verrà dopo. Imparate a evitare quelle che vi sembrano delle non-scelte.
Dovrei spiegarti perché siamo ormai in tanti a pensare che il sistema dei licei, e soprattutto il “liceo scientifico di massa”, sia una trappola che per la maggior parte dei ragazzi significa proprio rinviare la responsabilità di crescere e di decidere, nell’adolescenza prolungata e plastificata che va bene sia al marketing, sia a chi fa l’alternativo e il trasgressivo di mestiere. Ma qui ti annoierei di sicuro, perché per tua fortuna lo scetticismo e la disillusione non li conosci ancora. Proviamo a pensare in cosa consista uno qualsiasi dei lavori “che farai da grande”, allora. Potrai tenere una contabilità o trapanare una carie, correggere compiti o allevare animali: in ogni caso, quella di sfuggire alla noia sarà una fatica quotidiana da cui non ti salverai nemmeno andando a fare la skipper ai Caraibi.
Ti ho sentito dire una frase illuminante: Ma se faccio un liceo, vuol dire che dopo devo per forza andare all’università per altri cinque anni? Lì sono stato zitto e ho riso sotto i baffi. Però, pensando alla prima campanella che sta per suonare nel mio istituto tecnico, non è giusto buttarla sul ridere: perché a me la scuola, nonostante tutto, piace così tanto da aver smesso di fare altre cose per tornarci dentro, e volerci proprio restare. Anzi, tu probabilmente non ascolti i telegiornali, ma secondo quel che dicono ci dovrò restare almeno altri vent’anni, per cui alla noia devo sopravvivere per forza. Subito alla prima ora incontrerò una classe che mi piace, con cui spero di concludere alla grande un triennio di lavoro. Forse mi piace perché sono ragazzi che hanno già deciso come iniziare la loro vita di adulti e, soprattutto, perché ho visto che quando il mio ritmo cala, quando mi lascio prendere dalla noia, loro si risentono e me lo dicono; pretendono da me quello che io pretendo da loro: coerenza, professionalità, voglia di vivere.
Isabella forse ha già preparato il suo zainetto. Devo sistemare anche il mio. Mi sembra un canto del Risorgimento, son così vecchio che a scuola li studiavamo ancora: Il sacco è preparato, sull’omero mi sta, io son uomo e son soldato, viva la libertà. Isabella, mettiamola così: affrontiamo il nuovo anno cantando e pensando che la libertà richiede di impegnarsi ogni giorno. Forse non risolverà tutti i problemi, ma almeno ci aiuterà contro la noia. E poi, in fondo, queste pagine erano solo lo svolgimento di un tema: la vita è qualcosa di più, no?