Che una buona istruzione sia la base su cui costruire la propria esistenza, quella lavorativa, almeno, è un dato di cui chiunque, in tutti i momenti della storia, ha avuto nozione. E’ un’acquisizione dell’esperienza che fa sì che, anche chi nella vita non ha potuto o voluto studiare, non vorrebbe mai che i propri figli ripercorressero i medesimi passi. E’ questo, ma non solo. Anche i dati dell’Ocse, infatti, evidenziano una correlazione tra il livello di istruzione e quello del lavoro, tra mancanza di istruzione e disoccupazione. Quest’ultima, tra i laureati, si è attestata – nel 2009 – al 4,4%, tra chi non lo è, invece, è arrivata all’11,5%, dall’8,7% dell’anno precedente. Il conteggio, di per sé, si presta ad un’intepretazione immediata. Per escludere ogni possibile dubbio, ilSussidiario.net ha chiesto ragguagli a Roberto Ricci, responsabile del Servizio Nazionale di Valutazione dell’Invalsi.
Ricci, cosa ci suggeriscono i dati dell’Ocse?
Riflettono come, in una società matura, ciò che sempre di più fa la differenza è la qualità del capitale umano, per cui è più semplice trovare spazi lavorativi per chi gode di una formazione elevata.
In che rapporto stanno capitale umano ed istruzione?
Per capitale umano s’intende quel bagaglio di competenze, professionali e umane, apprese dai libri o dall’esperienza, e della rete di rapporti di cui una persona dispone. L’istruzione formale – seppur non in via esclusiva -, gioca un ruolo fondamentale nel fornire, oltre alle professionalità specifiche, quella capacità di comprensione della realtà e di muoversi al suo interno di cui la società dei servizi e dell’informazione, la nostra società, ha sempre più bisogno.
Può farci un esempio?
Nel lavoro di tutti i giorni occorre sapere accedere alle più svariate tecnologie. Ovviamente, non da esperti. Ma il solo essere in grado di fruirne implica una flessibilità intellettuale in cui le competenze sviluppate da un sistema di istruzione sono fondamentali. Mi riferisco, ad esempio, alla capacità di leggere testi complessi o alle abilità logico-matematiche.
Un ragazzo che abbandona gli studi per immettersi al più presto nel mercato del lavoro non dovrebbe, da questo punto di vista, avere più chance?
No, dalla rivelazione Ocse si evince come il mercato del lavoro sia sempre più alla ricerca di persone con competenze elevate. Quelle del 14enne che lascia gli studi è evidente che sono estremamente limitate.
La disoccupazione giovanile nell’area Ocse si attesta al 17%, in Italia al 27,6%. Il divario è anch’esso legato al livello di istruzione?
E’ evidente: siamo penalizzati dal fatto che la percentuale di laureati per classi di età è molto inferiore rispetto a quella delle altri nazioni avanzate. Tali classi sono divise in quinquenni. Tra i 25 e i 29enni italiani, ad esempio, ci sono meno laureati rispetto alla media europea, e il divario aumenta con l’aumentare dell’età. Va da sé che, quindi, la percentuale sul numero totale di abitanti è più bassa.
Come dovrebbe cambiare, quindi, il sistema educativo italiano?
Dovrebbe insistere ed investire sulla qualità dell’istruzione e sul mantenimento di livelli alti; mettendo in campo la nostra tradizione ma mettendosi in gioco in chiave comparativa. Significa che dobbiamo iniziare a confrontarci con i nostri naturali termini di paragone, ovvero i Paesi delle economie avanzate. Il che necessita anche di un metodo di valutazione standardizzata, di un modello di raffronto qualitativo sia interno (tra gli istituti formativi italiani) che esterno (con gli altri Paesi).
A cosa si riferisce, in particolare: elementari, medie, superiori, o università?
A tutte. Spesso non viene adeguatamente sottolineato come la buona formazione parta dalla scuola primaria. Tant’è vero che i Paesi che sortiscono i risultati migliori, in termini occupazioni e di sviluppo, hanno prestato grande attenzione alla propria scuola partendo da quella di base. Del resto, un buon capitale umano matura negli istituti superiori o nelle università – questo è vero, ma a condizione di aver ottenuto buoni risultati nei livelli precedenti.
In Italia, tuttavia, è noto che siamo carenti di operai specializzati…
Anche gli operai specializzati hanno bisogno di buone competenze di base. Le loro specializzazioni, infatti, nel mondo lavorativo di oggi dopo poco tempo potrebbero diventare obsolete e per riadattarsi al mercato, devono acquisirne di nuove, ma è un’operazione che richiede competenze acquisite in precedenza.