Quando si osserva un oggetto gli si pongono domande specifiche, che insieme alla natura dell’oggetto determinano la forma dell’osservazione e il metodo. Per la grammatica noi siamo abituati al sistema dell’analisi (grammaticale logica e del periodo) corrispondente a un modello ereditato dai secoli precedenti, che considerava la lingua come sistema logico-formale stabile. Questo modello risponde alla domanda “quali sono le classi, le costanti e le norme, in paragone con il latino, oppure in paragone con le categorie della logica?”, e per questo mette in luce le classi e le loro definizioni. Se anche lo scopo della grammatica fosse individuare le parti e definirle, almeno bisognerebbe che i criteri fossero univoci, ma non è così: se ne lamentava già Monica Berretta nel 1977.



C’è una contraddizione palese fra il chiedere ai ragazzi, come azione specifica della grammatica, di “riconoscere” e di “analizzare”, e il non dare definizioni univoche e adeguate per farlo (v. precedente articolo). La grammatica descrittiva, da normativa che è stata per molto tempo, dovrebbe farsi carico di questa difficoltà. Del resto, non si possono definire le parti del discorso al di fuori della loro funzione nella frase. Per esempio: che cosa fa il nome? Nel gruppo del nome fa da testa e domina articolo e aggettivo attraverso la concordanza; nella frase è soggetto, argomento-complemento, predicato. E chi può fare la parte del nome nella frase? nomi, pronomi, sostantivati, in certe situazioni le completive. Che cosa fa l’aggettivo? fa da attributo-determinante, fa da attributo-modificatore, fa da predicato. E chi può fare la parte di aggettivo? Aggettivi qualificativi, determinativi, participi, a volte le relative. I modelli contemporanei tengono conto della finalità comunicativa della lingua, con la conseguenza che gli elementi singoli sono considerati nella loro reciproca relazione in vista del raggiungimento di questo scopo.



Tali modelli rispondono piuttosto alla domanda: “quali sono le strutture significative di una lingua, e come fa un parlante a comunicare attraverso queste strutture?” e quindi pongono in primo piano il rapporto fra forme e significati, fra significati e scopi, fra scopi e interazioni fra parlanti. C’è anche una dimensione che va “oltre la frase” che studia i fenomeni di coesione, ma anche gli impliciti semantici, i mezzi linguistici con cui si realizzano la coerenza, l’informatività, e altri caratteri fondamentali del discorso. La riflessione sulla lingua dovrebbe portare ad una competenza maggiore nel capire i testi e scriverli. Uno degli oggetti della grammatica è la frase osservata dal punto di vista dei nessi sintattici che rendono significativa la costruzione: “È la connessione che dà alla frase il suo carattere organico e vivente. Costruire una frase significa immettere la vita in una massa amorfa di parole, stabilendo un insieme di connessioni tra loro. Al contrario, capire una frase è cogliere l’insieme di connessioni che uniscono le varie parole” (Lucien Tesnière).



Questo punto di osservazione combatte la frammentarietà della materia. Un frase-esempio come I giovani peschi di mio padre portano frutti molto buoni è costituita da due segmenti [I giovani peschi di mio padre] [portano frutti molto buoni] in cui il verbo fa da cemento perché “concorda a monte e regge a valle” (Eddo Rigotti). Questi due gruppi maggiori a loro volta sono costituiti da segmenti minori basati sulla concordanza [i-giovani-peschi] [frutti-molto-buoni], sulla reggenza [di>mio-padre]e sulla inclusione di uno nell’altro [i giovani peschi (di mio padre)]. L’inclusione è resa possibile dal principio ricorsivo, per cui un elemento ne può contenere un altro anche all’infinito, senza perdere la propria natura: Maria dice (che Giovanni le ha detto (che Luca ha rivelato (che Ernesto gli ha assicurato (che …)))). Nonostante ciò non si perde il contatto sintattico anche a distanza di molti gruppi inclusi: [La macellaia (che uccise il toro (che bevve l’acqua, (che spense il fuoco, (che bruciò il bastone )))) …] [era furiosa] (variante femminile su una antica cantilena ebraica ripresa da Branduardi).

Ogni parte di frase può comportarsi così: [Giovanni] mangia [la pizza] > [Giovanni (che legge molti libri)] mangia [la pizza (che ha comprato al bar)] > [Giovanni (che legge molti libri (che gli regalano gli amici))] mangia [la pizza (che ha comprato al bar (che sta sotto casa))] > [Giovanni (che legge molti libri (che gli regalano gli amici (che …)))] mangia [la pizza (che ha comprato al bar (che sta sotto casa (che …)))].

Applicando il sistema al contrario, abbiamo un potente mezzo di comprensione: qualunque frase di dieci righe di autore latino (o di Boccaccio), tolte espansioni varie e modificatori di diverso tipo, probabilmente si riduce a due segmenti: il gruppo del soggetto e il gruppo del predicato, più qualche informazione circostanziale aggiunta. “Quando si accorse (che i rimanenti erano troppo lenti) (e che alcuni (abbandonata la battaglia), si allontanavano dal luogo (per evitare le frecce))], (preso lo scudo a un soldato), (poiché egli era venuto senza scudo)[Ø], [avanzò in prima linea e, (chiamati i centurioni per nome), esortò i rimanenti soldati (a portare avanti le bandiere) e comandò (di aprire i manipoli)]”. Cioè: “Quando si accorse di una certa cosa (circostanziale), [qualcuno] (gruppo del soggetto) [fece una serie di cose] (gruppo del predicato)”. (Forse si è capito che mi piacciono molto le parentesi della matematica).

La sintassi, vista così, non coincide con la nostra analisi logica. Lepschy-Lepschy hanno segnalato già alla fine degli anni ’80 “sedici punti di sintassi”: per esempio l’ordine di parole e la frase marcata, l’uso dell’articolo in funzione di noto-non noto, la posizione degli aggettivi (restrittivi o descrittivi). Questi fenomeni spostano l’attenzione sulla complessità e la varietà dei problemi sintattici, al di là della trattazione tradizionale nei manuali scolastici della frase semplice e complessa.

Un altro principio sintattico riguarda il fatto che nella lingua umana le parole si compongono in modo da costituire una struttura, e non una semplice successione lineare (Noam Chomsky). Come ha ricordato Andrea Moro, neanche le scimmie più addestrate capaci di comprendere il significato di un gran numero di parole superano la successione mangiare banana. Il bambino invece sa formulare molto presto una combinazione sintattica come [la sedia (di papà)]; questo gruppo, che si riferisce a un oggetto unico, è composto di un oggetto posto in relazione con un altro (possessore/posseduto), e sintatticamente è una gerarchia fatta di un gruppo [la sedia] contenente al suo interno un altro gruppo gerarchicamente minore (di papà) secondo un rapporto di dipendenza e di inclusione.

Ci sono diversi modi per rendersi conto della struttura diversa di successioni lineari simili come: Gianni ha portato dentro lo specchio / Gianni ha guardato dentro lo specchio (è dentro che Gianni ha portato lo specchio / è dentro lo specchio che Gianni ha guardato). Sono i gruppi di parole vincolate fra loro ad essere diversi: Gianni ha (portato dentro) lo specchio / Gianni ha guardato (dentro lo specchio), dove la parola dentro fa in una frase da modificatore del verbo e nell’altra da preposizione del nome. Famoso l’esempio di frase ambigua, finché non si rappresentano i gruppi sintattici: Nico guarda le ragazze con gli occhiali (chi ha gli occhiali, Nico o le ragazze?) > Nico guarda [le ragazze (con gli occhiali)] / Nico [guarda (le ragazze) (con gli occhiali)].

Il fatto è che “l’orecchio sente i suoni, il cervello le frasi” (sempre Moro). Da qui deriva uno dei problemi della comprensione del testo scritto, il quale non rivela immediatamente la sua struttura se non a un occhio allenato a coglierla: ecco perché saper leggere ad alta voce con giusta intonazione un testo non noto è una capacità abbastanza sofisticata, che deriva dalla capacità del cervello di rendersi conto dell’accorpamento delle parole fra loro nella lettura silenziosa. Ecco quindi la potenza del modello dei gruppi sintattici come fondamento dei processi di comprensione del testo scritto.

In conclusione, penso che la grammatica non debba partire dalle classi e dalle definizioni, e nemmeno partire dai testi per tornare alle definizioni e alle classi, ma debba puntare sull’osservazione dinamica dei meccanismi di coesione e di coerenza: una grammatica non solo descrittiva ma esplicativa, che fornisca un’ipotesi unitaria basata sui modelli sintattici, che faccia ragionare sui dati e che favorisca la flessibilità e la capacità di scelta quando si parla e si scrive.

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