In Spagna la piazza torna a far notizia. I penultimi che hanno manifestato sono stati “gli indignati”: hanno cominciato chiedendo una democrazia reale e hanno finito maltrattando i pellegrini della Gmg. Gli ultimi sono stati i rappresentanti dei sindacati degli insegnanti della pubblica istruzione.

Naturalmente, non hanno nulla a che fare con i membri violenti del movimento 15M. Si tratta di gente molto più educata e civile degli indignati che c’erano ad agosto nella capitale spagnola. Si tratta di funzionari che hanno un lavoro a tempo indeterminato. Non maltrattano nessuno, almeno fisicamente. Protestano perché alcune Comunità Autonome, in cui governa il Partito Popolare, hanno deciso di aumentare il numero di ore di lezione che devono impartire.



Martedì 13 settembre, giorno di inaugurazione dell’anno scolastico a Madrid, hanno indetto uno sciopero nelle scuole pubbliche. I loro portavoce e sostenitori hanno finito per criticare la scuola cattolica, perché riceve fondi dalle casse dello Stato. Alla fine ha avuto ragione il grande Jiménez Lozano, che molto tempo fa ha denunciato il fatto che in Spagna tutto finisce sempre per essere clericale, anche e soprattutto, ciò che è anticlericale.



Quello che manca è un dibattito veramente laico. Oppure, che è lo stesso, iniziare a parlare seriamente di quello che è realmente pubblico. Il nostro Paese ha ereditato una tradizione statalista rafforzata dal franchismo e potenziata dal socialismo. Lo sciopero degli insegnanti è un buona occasione per cominciare a parlare della “legittimità” di destinare denaro pubblico alle opere educative di iniziativa sociale. In questo consiste il principio di sussidiarietà.

I conti delle Comunità Autonome non reggono più. I dati di deficit che sono stati presentati all’inizio di settembre mostrano che nel primo semestre dell’anno è stata raggiunta la percentuale prevista per tutto l’anno. E quando si tratta di “sistemare” le cose, si “spara” contro “l’altra” istruzione pubblica.



Il primo governo del socialista Felipe González, nel 1985, ha istituito il sistema della parificate che regola il pagamento degli stipendi degli insegnanti nelle scuole di iniziativa sociale. Lo Stato non ha speso soldi per l’acquisto di terreni o nella loro costruzione. Queste scuole sono pubbliche, anche se non sono gestite direttamente dallo Stato. Non è un problema, come alcuni sostengono, che i genitori o i fondatori gli abbiano dato un’identità. Al contrario, è segno di una democrazia veramente laica.

La nascita di scuole parificate varia a seconda delle Comunità Autonome: quelle socialiste, generalmente, ne hanno rallentato lo sviluppo. Ma in alcuni casi, come i Paesi Baschi o la Comunità di Madrid, arriva a coprire circa il 40% dell’offerta di istruzione. Secondo l’associazione delle scuole private, la Cece, se si arrivasse al 50% si avrebbe un risparmio di 14.000 milioni di euro. Stiamo parlando di una cifra importante. Un sistema più economico e più efficace.

L’insuccesso scolastico nelle scuole pubbliche gestite dallo Stato è del 33% e in quelle parificate del 14%. Gli insegnanti delle parificate lavorano già di più. I dati parlano chiaro: la sussidiarietà è più conveniente per lo Stato e permette di garantire realmente la libertà di scelta. Non stiamo parlando dei privilegi della scuola cattolica, parliamo di considerare come pubblica la scuola comunista, la scuola ebraica e qualsiasi altra scuola che sia stata creata dal basso, che abbia avuto sostegno, che abbia ottenuto risultati migliori e che vuole sottoporsi a determinati controlli.

Tuttavia, questa non è una battaglia per creare solamente una coscienza tra i politici. È necessario anche un cambiamento di mentalità nel mondo cattolico. Dall’inizio del XIX secolo, quando ha preso forma lo stato nazionale contemporaneo, i cattolici spagnoli sono stati troppo ossessionati dal fatto che il governo dovesse garantire una buona istruzione e persino una buona dottrina. Ora si tratta di creare opere, aprire spazi e superare un dualismo che riduce l’esperienza cristiana all’ispirazione delegando tutto il resto. La sussidiarietà è un esercizio che comincia da sé.