Qual è il valore aggiunto dell’uso di una ragione allargata, che ricorra in particolare all’intelligenza emotiva? È possibile misurarlo in ogni campo applicativo, che richieda capacità relazionali: costruzione identitaria, capacità affettiva, coesione sociale, professionalità lavorativa, responsabilità politica. In campo educativo sono almeno sette gli ambiti in cui l’uso dell’intelligenza emotiva fa riscontrare un miglioramento: la capacità d’apprendimento, la possibilità di una crescita integrale, la capacità di agire costruttivamente e di affrontare positivamente le difficoltà comportamentali, la didattica, la professione docente, il rapporto tra istruzione ed educazione, l’ambiente scolastico, la genitorialità.



Apprendimento. Una delle cause delle difficoltà d’apprendimento è la mancanza di flessibilità cognitiva, che reitera processi, strategie, operazioni e contenuti già acquisiti, e rende molto difficile la metabolizzazione di nuovi. È la novità la discriminante tra flessibilità e rigidità cognitive, e la novità è parametro dell’intelligenza emotiva: senza curiosità, interesse, fascino, desiderio, attrattiva, passione, aspettativa, aspirazione, ispirazione, anelito, ardore per la conoscenza non si impara. A un livello parallelo, ma diverso, non si impara senza sensibilità, piacere, sapore, gusto: i Programmi didattici del ’55 parlavano del “gusto di imparare”. A un livello ulteriore dell’intelligenza emotiva tutta l’avventura della conoscenza scientifica è stata resa possibile da fiducia, sicurezza, audacia, sorpresa, meraviglia, ammirazione: “solo lo stupore conosce”.



A un livello ancora ulteriore gli stati gioiosi incrementano l’attività cerebrale e favoriscono l’apprendimento, mentre gli stati tristi e depressivi diminuiscono l’attività cerebrale, inibendo la capacità d’apprendimento: un bambino contento impara di più. I risultati sono stati misurati in termini di successo scolastico e accademico (votazione media ottenuta) in matematica, nelle discipline linguistiche, artistiche e sociali; in un miglioramento progressivo degli esiti scolastici nel tempo; nella diminuzione delle difficoltà d’apprendimento; nell’assenza di cadute del rendimento scolastico; in una maggiore capacità di pianificare la soluzione dei problemi; nell’uso di strategie di pensiero più astratte e complesse; nella maggiore capacità di imparare ad imparare, nel coinvolgimento personale nel processo d’apprendimento, nella motivazione a proseguire l’iter formativo, nella diminuzione del tasso d’abbandono scolastico, nella facilitazione del passaggio tra livelli scolastici.

Paradossalmente è proprio la razionalità moderna che, avendo espulso da sé la ragione emotiva, è diventata la causa delle proprie difficoltà. Ogni volta che la scuola si attesta su un livello unicamente istruttivo, obbliga la ragione a una modalità operativa che rende difficile imparare. È un’istruzione dis-integrata dall’educazione, ovvero da un uso integrale della ragione, la causa di molti fallimenti scolastici.

Crescita integrale. Ciò che la sola razionalità estromette dalla scuola è anche la possibilità di una crescita integrale, che vede in primo luogo la costruzione di un’identità personale. Il ruolo specifico della ragione emotiva è quello di rendere possibile: 1) la consapevolezza di sé (riconoscere e identificare il proprio sentire; avere un’adeguata percezione di sé; conoscere i propri punti di forza; riconoscere i propri bisogni; sapere ciò che vale; avere il senso della propria efficacia; accedere al livello antropologico della persona); 2) la gestione di sé (controllare gli impulsi; gestire lo stress; automotivarsi; autodisciplinarsi; definire i propri obiettivi; possedere capacità organizzative); 3) la responsabilità personale, morale ed etica nel prendere decisioni (analizzare la situazione; identificare il problema; risolvere il problema; valutare e riflettere); 4) la capacità di relazione (partecipare; comunicare; costruire relazioni con i pari, con gli adulti, con la realtà tutta; cooperare; negoziare; saper dire di no; gestire i conflitti; cercare aiuto; dare aiuto agli altri); 5) la capacità di relazione sociale (avere una prospettiva comunitaria; rispettare gli altri; stabilire relazioni empatiche; apprezzare la diversità).

Comportamento in classe e difficoltà comportamentali. Alunni indisciplinati, difficili, che studiano poco, che disturbano, che fanno molte assenze, che provocano, che sono aggressivi fino a essere violenti, ribelli, irresponsabili, poco autocritici, privi di coscienza morale, oppure alunni che si sentono costantemente in difetto, che credono di dover sempre assicurare alti livelli di prestazione, che si aspettano sempre che le cose vadano male, che sono inibiti nella spontaneità, vulnerabili, dipendenti da alcool, droghe o fumo. Le difficoltà comportamentali sono sempre l’esito di dinamiche emotive negative: impulsività, ansia, paura, rabbia, tristezza, dolore, depressione, infelicità, mancanza di fiducia, di speranza, di rispetto, di affetto, di empatia. Le difficoltà comportamentali sono sempre l’esito dell’incapacità degli adulti di leggere e farsi carico dei bisogni dei ragazzi. Sono quasi sempre l’esito della mancanza di relazioni primarie corrette. Sono tutte l’esito della mancanza o del cattivo uso dell’intelligenza emotiva, così come al contrario sono sempre l’esito dell’uso e di un uso corretto della stessa intelligenza tutti i comportamenti positivi: meno assenze, maggiore partecipazione in classe, maggiore sforzo per raggiungere gli obiettivi, meno episodi di ostilità e di cattiva condotta.

Esiste un confine essenziale tra il disagio e il disturbo (disturbi della condotta, disturbo antisociale, disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo da deficit attentivo e iperattività, dipendenze, depressione, ecc.), e mentre il disagio è campo di intervento educativo, il disturbo richiede un intervento psicoterapeutico. Ciò che è sbagliato, è psicologizzare la scuola.

Didattica. L’insegnante di Fisica enuncia: “A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Ossia F12=F21” e scrive la formula alla lavagna, poi si volta e chiede: “È chiaro?”. “Chiarissimo prof. È una cosa che si mangia?”. “No, non lo mangi. Ma il terzo principio della dinamica lo usi tutti i giorni, come altre leggi della meccanica. L’attrito, per esempio, è la forza che regola la frizione del tuo motorino”. “Sì, prof., ma è teoria. Non mi serve [nda. intelligenza emotiva]. Non capisco nulla [nda. razionalità]”. È stato facendosi carico di quell’urgenza costantemente attiva, che è l’intelligenza emotiva, che dalla collaborazione tra il liceo scientifico, in cui si verificò questo episodio, e la Ducati è nato “Fisica in Moto”, un laboratorio didattico interattivo di Fisica per le scuole superiori, dove il processo d’apprendimento dei principi fisici costituisce un’esperienza (condizione della conoscenza), che parte dalla realtà (osservazione) di un oggetto d’interesse (intelligenza emotiva). Un approccio didattico che ripristina la ragione integrale, e che così ottiene il successo scolastico e dell’alunno e della scuola.

Un approccio didattico simile è quello degli insegnanti di Lettere che ritengono scopo dell’insegnamento della letteratura in primo luogo il gusto della lettura, che rende i ragazzi lettori appassionati, perché sarà la passione a far nascere in loro l’attitudine ad approfondire il testo (razionalità).

Professione docente. A parità di preparazione disciplinare un insegnante ottiene maggiori o minori risultati in termini di impegno nello studio e di crescita dei ragazzi, se farà trapelare dal suo operare la passione o il disinteresse per il proprio lavoro e i contenuti della propria disciplina; se persuaderà alla fatica dell’impegno con proposte interessanti e significative piuttosto che scontate e noiose; se instaurerà in classe un clima sereno o ansiogeno; se riporrà fiducia o meno nei suoi studenti; se mostrerà per i ragazzi rispetto e stima, piuttosto che nervosismo e antipatia, se sottolineerà o meno il valore delle differenze individuali, ecc. L’emotività (la passione per l’insegnamento, l’interesse dei contenuti proposti, la serenità del clima instaurato, la fiducia riposta nella libertà dei ragazzi, il rispetto e la stima per la loro persona, ecc.) educa.

Della ricaduta dell’uso della ragione emotiva sulla professione docente è stata misurata in particolare una maggiore soddisfazione degli insegnanti; una maggiore percezione di autoefficacia (capacità di gestire la classe, di motivare e coinvolgere gli studenti, di utilizzare strategie didattiche adeguate, di ottenere migliori risultati di apprendimento), la prevenzione del burnout (profonda insoddisfazione, alienazione lavorativa, insorgenza di disturbi psicofisici).

Binomio istruzione-educazione. L’insegnamento è articolato in almeno tre principali dimensioni, istruttiva, formativa ed educativa, ciascuna con la propria specificità. Dell’intera persona la dimensione educativa focalizza il livello propriamente antropologico (le esigenze ultime, i livelli più alti dell’intelligenza emotiva, i livelli più complessi della razionalità), perché i ragazzi paragonino criticamente con esso la propria esperienza, e così si realizzino in quanto persone. Se, dunque, all’istruzione è sufficiente la dimensione razionale della ragione, all’educazione occorre una ragione integrale.

Ambiente scolastico. Sono indici di valutazione della declinazione dell’intelligenza emotiva sull’organizzazione scolastica il fatto che l’ambiente sia bello, sia sicuro, sia ben gestito; che sia un ambiente in cui ci si prenda cura dei ragazzi, che favorisca un maggiore coinvolgimento scolastico, e che sviluppi le attitudini propriamente scolastiche: un maggiore senso di appartenenza, più motivazione all’apprendimento, più alte aspirazioni, una maggiore comprensione delle conseguenze del proprio comportamento, la capacità di gestire un eventuale insuccesso scolastico.

Genitorialità. Le prime relazioni sono fondamentali per creare le strutture mentali, che permettono di affrontare costruttivamente la vita. I genitori sono coloro che più e meglio di ogni altro possono comprendere e rispondere alle attese più profonde dei figli; le persone più stabili e affidabili, per garantire il loro sostegno; coloro che consentono un’esperienza positiva della vita; che più vogliono il bene del bambino, che proverà rispetto e affetto per gli altri, nella misura in cui ne avrà fatto esperienza, e li avrà apprezzati come piacevoli e significativi. Nella relazione con i genitori si percepisce il valore di sé, si costruisce la definizione di sé, il senso delle proprie capacità, l’autostima, la capacità di intimità e di separazione dall’altro. Nella relazione con i genitori inizia la costruzione della coscienza di sé. Venire rispecchiati nell’affetto dei genitori consente ai bambini di diventare capaci di provare rimorso, che segnala il confine tra il bene e il male, che si agisce nei confronti dell’altro; nella relazione con i genitori i bambini pongono le radici del proprio sviluppo morale; l’investimento affettivo sviluppa la coscienza morale. Nella relazione con i genitori i bambini iniziano a rispondere a due domande fondamentali per la costruzione di sé: “Chi sono io?” e “Che cosa posso aspettarmi dall’altro?”.

Presenza, legami certi, ruoli definiti e attaccamento, in sintesi intelligenza emotiva: questo è il compito genitoriale. Laddove madre e padre non siano stabilmente presenti, non rispettino e non amino i propri figli, non percepiscano i loro bisogni e le loro attese, non facciano fare loro un’esperienza positiva della vita, non rimandino un valore positivo del loro essere e della loro esistenza, lì sarà compromesso lo sviluppo emotivo, la costruzione di sé, la costruzione di una coscienza morale, senza la quale i ragazzi a loro volta non potranno costruire relazioni significative. E la scuola né potrà né dovrà sopperire a un ruolo educativo disatteso.