Durante lo scorso Meeting di Rimini John Garvey, presidente della Catholic University of America, ha tenuto un incontro pubblico dedicato al tema «Senso religioso, alla radice dell’Università», insieme a Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e a Moshe Kaveh, presidente della Bar-Ilan University di Tel Aviv. Ilsussidiario.net propone il dialogo avuto con Garvey prima dell’incontro.
Professor Garvey, il titolo dell’incontro cui ha partecipato pone l’ipotesi che le radici dell’università sia «dentro» l’uomo. che nesso c’è tra la sua interiorità – o il suo «senso religioso» – e l’università?
Aristotele inizia la sua Metafisica con l’affermazione: «tutti gli uomini per natura desiderano conoscere». Penso che sia questo il punto quando si dice che c’è una università «invisibile» dentro l’uomo. Questo desiderio spiega perché poniamo domande, perché leggiamo un libro di storia o studiamo astronomia. Le università mettono a disposizione comunità in cui questo può essere fatto per un certo periodo della propria vita. Il loro scopo è radicato in questo essenziale impulso a capire meglio il mondo. Aristotele pensava poi che, osservando il mondo, si apprendono anche le cause che ne sono all’origine. Le nostre riflessioni ci conducono a ciò che sta oltre il finito.
Quindi, una ragione aperta a tutto è una ragione che cerca la verità delle cose. Se questo è il compito dell’università, come vede lei la questione dall’osservatorio della prestigiosa università di cui è presidente?
Nelle università con denominazione religiosa, come quella in cui lavoro, usiamo la ragione per capire meglio quanto impariamo attraverso la rivelazione. La nostra ricerca accademica è aperta all’infinito non solo attraverso l’osservazione del mondo e ciò che ci dice sulle cause sottostanti, ma perché Dio ci ha comunicato qualcosa su di Sé. Il nostro statuto riassume il nostro compito nel seguente modo: «Dedicata all’avanzamento del dialogo tra fede e ragione, The Catholic University of America cerca di scoprire e comunicare la verità attraverso l’eccellenza nell’insegnamento e nella ricerca, tutto al servizio della Chiesa, della nazione e del mondo».
A suo parere l’università è oggi una istituzione in crisi? E se è in crisi, in cosa questa crisi consiste e da cosa è causata?
Nei tardi anni ’80, Allan Bloom scrisse un libro sullo stato dell’università, intitolato La Chiusura della Mente Americana (The Closing of the American Mind), in cui lamentava la perdita di prestigio nelle università dei grandi libri della civiltà occidentale e il loro raro uso nell’insegnamento. Il suo timore era che, senza questi testi al centro dell’educazione, le università non avrebbero più insegnato agli studenti a chiedere e ricercare le risposte alle più grandi domande della vita e che le varie discipline sarebbero rimaste isolate tra loro. Queste preoccupazioni non sono dissimili da quelle che il Beato John Henry Newman aveva espresso più di cento anni prima. Per Newman la preoccupazione non era la frammentazione delle discipline, ma che si instaurasse una separazione tra il discorso religioso e quello razionale. «Non sarei soddisfatto, come invece molti» disse «dell’esistenza di due sistemi indipendenti, quello intellettuale e quello religioso, che tutto d’un tratto procedessero fianco a fianco, per una specie di divisione del lavoro, e che si riunissero solo accidentalmente… Voglio lo stesso tetto sulla disciplina intellettuale e morale. La devozione non è una specie di rifinitura data alle scienze; né la scienza è una specie di piuma sul cappello… un ornamento e una decorazione alla devozione. Voglio che l’intellettuale laico sia religioso e che il devoto ecclesiastico sia un intellettuale».
E questo cosa vuol dire oggi nel contesto delle università americane?
Le università americane soffrono ancora, forse più che prima, della frammentazione delle discipline. Nel momento in cui finiscono il loro corso di laurea, gli studenti troppo spesso hanno imparato una quantità di cose in un materia, alcune cose in altre materie e molto poco o niente sulle perenni questioni poste dai classici. Hanno anche imparato a lasciare i loro credo alla porta. La Catholic University of America cerca di essere un contrappeso a questa frammentazione. La nostra fede ci dice che Dio ha creato il mondo a Sua somiglianza e questo significa che fede e ragione non sono opposte tra loro. Significa anche che la conoscenza acquisita dalla scienza non può rifiutare la conoscenza che ci viene dalla teologia. Tutte le discipline dell’università servono la verità.
Può una università avere una «missione» o un compito e come questo potrebbe essere interpretato?
La missione dell’università è la formazione dei suoi studenti, che vuol dire trasmettere loro il sapere. Talvolta questo sapere è di tipo generale, come nel caso dei corsi di laurea, in altri è specializzato, come per i dottorati. L’università trasmette agli studenti gli strumenti necessari a pensare in modo critico, mettendoli nella condizione di avere successo nei settori collegati al loro campo di studi. L’università insegna ai suoi studenti anche a vivere bene, compito questo particolarmente importante in un’università cattolica, dove c’è un consenso generale su cosa significhi essere una brava persona. Insegnare a coltivare la virtù rende gli studenti migliori anche in aula e li difende dall’idolatria del sapere, proteggendo l’educazione dalla deriva ideologica. Gli studenti che pongono fede, speranza e amore sopra ogni cosa, non idolatrano la scienza o l’arte.
Alla vostra università è attribuita una particolare missione civile in relazione alla storia del vostro Paese?
L’Università Cattolica ha sede nella capitale della nazione. Come sede della università cattolica nazionale furono prese in considerazione diverse città, ma i vescovi scelsero Washington, DC, perché ritenevano che l’università dovesse giocare un ruolo speciale nella nazione. Il nostro statuto dichiara che vogliamo che i nostri studenti «servano la nazione e il mondo». Le nostre tradizioni naturali formano i nostri studenti, che vivono a studiano in una vivace cultura politica. Allo stesso modo, i nostri studenti danno forma alle nostre tradizioni nazionali e si impegnano politicamente in questioni giuridiche e culturali, in particolare dove vi è bisogno di una voce cattolica.
Qual è l’obiettivo dell’organizzazione del sapere in un’università? È quello di far avanzare la conoscenza o qualcosa d’altro?
Come molte università in America, l’Università Cattolica offre corsi di laurea e di dottorato. Quando i vescovi americani decisero, nel 1866, di creare una università cattolica nazionale, avevano in mente un modello fondato sullo studio e la ricerca, sul tipo di Lovanio, il cui scopo è, come lei dice, di «far avanzare la conoscenza» e di produrre libri, articoli e saggi accademici. Nel 1904, furono introdotti i corsi di laurea, sorti dalla tradizione delle arti liberali, il cui nome deriva dal latino liber, perché si tratta di un’educazione adatta a uomini e donne «liberi». Le arti liberali portano agli studenti un sapere di tipo generale. Un’università, quindi, produce una attività di studio che fa avanzare la discussione in diversi campi di ricerca e trasmette una conoscenza generale ai suoi studenti.
In che modo la tradizione storica della sua università condiziona il suo presente? Questa eredità è in grado di resistere alle sfide attuali?
Il vescovo John Lancaster Spalding, un pioniere dell’idea di un’università cattolica nazionale in America, disse: «Una vera università sarà certamente il luogo sia della saggezza antica che del nuovo sapere; …sarà al contempo un istituto scientifico, una scuola di cultura e una palestra per il mestiere della vita…». Questo nel maggio del 1888, quando fu posta la prima pietra per il nostro primo edificio. Gli intellettuali cristiani stavano affrontando una crisi. In Gran Bretagna ci si sentiva sempre più liberi di rigettare la fede come cosa infondata. Trent’anni prima, questa acrimonia verso il cristianesimo aveva portato Newman a dire in un sermone del 1856: «…Lo scopo della Santa Sede e della Chiesa cattolica nell’istituire università… è di riunire cose che inizialmente erano unite da Dio e che sono state separate dall’uomo», e cioè fede e ragione. Oggi, le università cattoliche hanno ancora di fronte molti problemi simili a quelli che dovettero affrontare Newman e Spalding. La fede è considerata un ostacolo sulla via della conoscenza e promuovere la morale cristiana è visto come una cosa fuori moda. La nostra missione è di ricercare la conoscenza alla luce della fede e promuovere una vita virtuosa nei nostri studenti. È questa la ragione per cui l’università è stata fondata dai vescovi ed è un fatto intrinseco alla nostra storia.
Avete come obiettivo un modello particolare di università e, nel caso, qual è il modello di riferimento?
Attingiamo a diversi modelli. Come già detto, la nostra fondazione è avvenuta nella tradizione di Lovanio, come istituzione dedicata allo studio e alla ricerca. Quando abbiamo introdotto i corsi di laurea, li abbiamo costruiti in base alla tradizione delle arti liberali, che hanno le loro radici nell’antichità classica. Come università cattolica, abbiamo un riferimento anche nella tradizione scolastica medioevale.
Nel suo lavoro, lei è entrato in contatto con varie generazioni di studenti. Quali sono i punti di forza e quelli deboli della generazione attuale?
Gli studenti di oggi hanno a che fare con molte più cose che gli studenti delle precedenti generazioni e ci sono molte più voci che si contendono la loro adesione. Questo mette maggiormente alla prova gli studenti, ma rende anche più gradevoli i loro successi. A questo proposito vorrei sottolineare due punti. Il primo è che agli studenti oggi è richiesto, già dai primi anni, di lasciare fuori dalla porta dell’aula le loro convinzioni religiose. Ho accennato alle difficoltà poste a Newman dall’Illuminismo e anche noi continuiamo a soffrire gli effetti dell’esclusione della fede dalla scuola. La Catholic University of America ha la fortuna di essere un luogo dove gli studenti respingono questa biforcazione tra fede e sapere. Ma essi sono una minoranza all’interno del mondo delle università. Gli studenti che vogliono condurre la propria ricerca del sapere alla luce della fede devono affrontare una difficile impresa; ugualmente gli studenti che desiderano vivere virtuosamente. La vita in università rischia di scoraggiare dal seguire le buone abitudini, quali moderazione e prudenza. I media influenzano i giovani fin dalla prima età e molto spesso non suggeriscono modelli o stili di vita corretti. Questo è il mio secondo punto. Gli studenti che vogliono diventare buoni cittadini, membri della loro Chiesa, genitori, amici e professionisti non sempre trovano un sostegno nelle loro comunità universitarie.