Ieri il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo, ha delineato le linee programmatiche del suo dicastero presso la Commissione cultura della Camera. «L’impressione è stata buona – dice a IlSussidiario.net Valentina Aprea (Pdl), presidente della Commissione – nel senso che l’elenco di punti che il ministro Profumo ha consegnato in audizione risulta in perfetta continuità con le strategie migliori del precedente governo».
Quali sono in sintesi questi punti?
Per l’università il ministro ha ribadito la volontà di attuare la Riforma Gelmini, e si è dato come traguardo quello di presentare tutti i regolamenti e decreti attuativi entro il 2012. Positivo anche l’ampio spettro di proposte, progetti e finanziamenti per la ricerca, ma d’altra parte non poteva essere diversamente, visto che proprio il ministro Gelmini l’aveva indicato recentemente come presidente del Cnr. Sul versante della ricerca possiamo quindi sperare che tutti i finanziamenti e opportunità potranno dare buoni risultati.
Per quanto riguarda l’istruzione?
Il ministro ha elencato un cospicuo numero di azioni prioritarie, tra cui il rilancio e sviluppo dell’autonomia delle scuole, un nuovo modello di governance del servizio scolastico, una legge quadro sul diritto allo studio, la valorizzazione di alcuni importanti elementi della tradizione scolastica, lo sviluppo professionale dei docenti, lo sviluppo del sistema nazionale di valutazione, il recupero delle aree scolastiche più compromesse, la promozione del merito e dell’eccellenza. Poi un’attenzione particolare il ministro ha riservato all’edilizia scolastica e alla messa in sicurezza degli edifici scolastici. Certamente queste priorità rispondono a quelle che sono le aspettative e le esigenze della scuola italiana e adesso bisogna vedere, tra interventi di semplificazione e di “oliatura”, come dice il ministro, se effettivamente questi buoni propositi potranno trasformarsi in ulteriore cambiamento reale per la scuola.
Lei invece cosa ha proposto?
Per quel che mi riguarda, nella seduta di ieri ho ribadito innanzitutto che dobbiamo riflettere su due grandi questioni. Innanzitutto la buona qualità degli studi: per troppo tempo ci siamo preoccupati dell’uguaglianza e delle opportunità educative, dell’inclusione, della scolarizzazione di massa, e abbiamo tralasciato tutte le buone pratiche per l’eccellenza e la valorizzazione dei talenti. Ho posto quindi un quesito al ministro, cioè se prevede strategie per l’eccellenza anche sulla lezione del testamento spirituale che ci ha lasciato Steve Jobs.
Steve Jobs?
Non sono tra coloro che lo vogliono considerare un modello e una persona ideale da emulare, ma certamente la sua storia può avere un valore istruttivo e ammonitorio. La scuola americana, e con lei molta di quella occidentale, si è rivelata inadatta e storicamente inadeguata a produrre eccellenza, e anche la nostra scuola vive ancora di sufficienza. La prima questione quindi che ho illustrato al ministro è che dobbiamo cercare assolutamente dei metodi per individuare precocemente l’eccellenza nella nostra scuola, coltivarla e chiederci quanti Jobs ci sono da noi in questo momento. Una volta individuati, bisogna abbreviare i percorsi superiori, offrire borse di studio e inventare altri modi per portare queste intelligenze verso quei settori più avanzati della ricerca che sappiamo già costituiranno le fonti di sviluppo del XXI secolo, come l’incrocio tra biologia e tecnologia.
Quali altre sfide ha lanciato al ministro Profumo?



La seconda sfida riguarda la docenza, perché è chiaro che se parliamo di eccellenza per gli studenti, non possiamo pensare di accontentarci di avere una docenza sempre più vecchia e burocraticamente assegnata alle scuole. In piena coerenza con la prima sfida, ho sensibilizzato il ministro sul fatto che sono tantissime le criticità che riguardano la docenza italiana e che queste non potranno essere risolte con un semplice concorso per reclutare i giovani: è vero che l’età media dei docenti è altissima e che anche le assunzioni, che pure ci sono state recentemente, non hanno assolutamente prodotto un ricambio generazionale, ma hanno stabilizzato nel migliore dei casi i docenti precari che lavoravano da anni nella scuola.
E dunque, presidente?
Il tutto potrebbe andare ancora bene se non fosse che abbiamo migliaia di giovani insegnanti laureati che non hanno prospettiva se non cambia il sistema e il metodo di reclutamento. Ho spiegato nei particolari al ministro i limiti anche di una politica che voglia incentrarsi esclusivamente su una modalità concorsuale, pur riservata ai giovani, e ho rilanciato la discussione sull’approvazione del Pdl 953.
Il progetto di reclutamento che porta il suo nome.
Sì. Ho comunicato al ministro che c’è la volontà di tutta la Commissione di riprendere i lavori di quella legge per far sì che nel nostro Paese si giunga a un nuovo sistema di reclutamento: perché possiamo anche arrivare a fare concorsi più moderni e prevalentemente didattici, ma alla fine resterà sempre l’assegnazione burocratica degli insegnanti alle scuole, e questo non potrà mai produrre qualità, cambiamento e autonomia nelle scuole. Abbiamo allora rilanciato la nostra proposta, e ora che il regolamento sulla formazione è stato completato, intendiamo mettere questa proposta sul tavolo per introdurre il nuovo reclutamento in sede referente. Basterebbe questo a cambiare in pochi anni il sistema scolastico più di qualsiasi altra riforma della scuola.



(Claudio Perlini)

Leggi anche

SCUOLA/ Nadia, incubo-filosofia: un bravo prof aiuta a tenere la “porta” apertaSCUOLA/ Ben venga lo "svarione" delle 36 ore (se serve a cambiare tutto)SCUOLA/ Se il nuovo piano di Renzi dimentica le riforme a costo zeroSCUOLA/ I quattro pilastri che aspettano le riforme di Renzi