Crolla la fiducia nei confronti delle principali istituzioni. Secondo un sondaggio condotto da Demos & Pi, quasi nessuno si salva: nel 2011, rispetto al 2010, è calata la stima degli italiani nei confronti dello Stato (-0,5%), del presidente della Repubblica (-5,8%), delle Forze dell’ordine (-2,6%), del Parlamento (-4,5%), delle banche (-7,2%) e via dicendo; tra i pochi sopravissuti, c’è la scuola. Il cui indice di gradimento sale del 3,3%. Solo per quanto riguarda quella pubblica. Per le paritarie il calo è pari all’8%. Come vanno interpretati questi dati? IlSussidiario.net lo ha chiesto a Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia all’Università Cattolica di Milano. Che, anzitutto, ci tiene a fare una premessa: «tali numeri vano presi con cautela. Non è detto che si tratti, infatti, di oro colato». Per quanto riguarda la scuola privata, poi, «si può ipotizzare che abbia influito il fatto che negli anni non si sia stato fatto nulla per metterla in condizioni di operare al pari di quella pubblica; di conseguenza, in questo momento di crisi, dove le difficoltà economiche sono aumentate, molte famiglie la considerano una scuola di riserva o per gruppi ristretti». Non solo: «non si è riusciti a far comprendere che le paritarie non andavano contrapposte alle pubbliche, ma intese come ricchezza di un sistema all’insegna del pluralismo».



Analoghe, ma di segno opposto, le probabili motivazioni relative al settore pubblico: «l’aumento di consenso può derivare dalle iniziative messe in campo dalla Gelmini e dal  governo precedente, in grado di dare l’impressione di cenni di cambiamento. Non mi sembra, tuttavia, che rispetto a 3-4 anni fa vi siano stati cambiamenti così radicali da giustificare l’impressione. Si tratta, quindi, per lo più della suggestione che qualcosa si stesse per muovere, determinata dalle iniziative del ministro». Del resto, in dieci anni, secondo il sondaggio c’è stato un calo di consensi pari a circa il 9 per cento. Mentre nei decenni, che la scuola si sia decisamente screditata, è sotto gli occhi di tutti. «Al di là dei problemi organizzativi, delle rigidità burocratiche, della carenza di risorse e del deficit di funzionamento, la scuola è venuta meno alle sue funzioni principali», spiega Magatti, secondo il quale il declino si è prodotto sotto due punti di vista.



«Ha perso il radicamento nel progetto sociale, culturale e di senso che aveva assunto nella fase post bellica. La scuola svolgeva un ruolo importante perché formava non solo il lavoratore ma, anzitutto, il cittadino. I professori erano considerati rappresentanti del mondo degli adulti e delle istituzioni. Ma la sua dimensione educativa-culturale si è molto attenuata, se non addirittura smarrita del tutto». D’altro canto, «si è cercato, negli ultimi anni, di indirizzarla maggiormente verso il mondo del lavoro, connotandola con maggiori caratteristiche tecniche, ma i risultati sono stati insoddisfacenti e, rispetto ai parametri internazionali, è rimasta indietro».



Per Magatti, benché si possa discutere su quando ha avuto inizio il regresso, una cosa è fuori discussione: «Il declino della scuola è un indicatore sintetico del declino dell’Italia. Anche nel Paese, infatti, si sono dispersi da un lato la matrice culturale e i valori comuni che ci hanno contraddistinto per anni, annullati in un generico individualismo libertarista; dall’altro non siamo stati in grado di compiere quel salto di qualità relativo all’insieme delle nostre professionalità e competenze in cui, invece, hanno avuto successo gli altri paesi».