Aumentare l’obbligo scolastico a 12 anni, per far stare i ragazzi sui banchi sino a 17 anni, da un lato; dall’altro, diminuire gli anni delle scuole superiori, facendoli passare da 5 a 4. Sono le proposte che, attualmente, stanno animando il dibattito. La prima è stata lanciata dal ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, la seconda dal rettore della Bocconi, Guido Tabellini. Lo scopo di entrambe sarebbe quello di semplificare il percorso scolastico, adeguandolo ai parametri europei e consentendo al giovane che non intende proseguire gli studi di potersi affacciare quanto prima al mercato del lavoro. Eppure, le due proposte difficilmente sembrano conciliabili. «Questioni di questo genere andrebbero affrontate nell’arco di un progetto organico di riforma dei cicli scolastici», dichiara a IlSussidiario.net Claudio Cereda, preside dell’Itcg Bandini di Siena. «L’ultima volta che è stato fatto – continua – fu all’epoca del ministro Berlinguer. Nel suo progetto, oltretutto, c’era l’idea di prolungare l’obbligo scolastico sino ai 18 anni». Non è possibile, quindi, dar vita a provvedimenti che non interessino il sistema nel suo complesso. «La discussione, ad esempio, non può prescindere dall’interpellarci, anzitutto, sulla scuola media: ha senso o meno che continui a esistere?». La problematica è strettamente collegata all’ipotesi di accorciare di un anno le superiori. «In tal senso, credo che andrebbe salvaguardato lo schema del progetto Gelmini relativo all’ipotesi di introdurre il 2+2+1, con l’ultimo anno pensato come momento orientativo e per tirare le somme di quanto fatto fino a quel punto». Ma il problema consiste nei primi due anni. «Se si ipotizzasse, ad esempio, di slegarli dalla scuola superiore, e di inserirli in un altro ciclo scolastico, si potrebbe risolvere il problema, trovando anche il modo per ridurre la scuola secondaria di secondo grado di un anno». Un caso a parte lo meritano gli istituti di formazione professionale. «Si è voluto mantenere in vita l’istituto professionale con l’approccio quinquennale. Che non dà una risposta all’esigenza di quei ragazzi con una scolarizzazione di tipo generale bassa e che non hanno voglia di stare sui libri. Esiste una fascia di popolazione tra i 14 e i 17 anni costituita da persone che se vorranno, eventualmente, incontrare la cultura lo potranno fare solo a partire da un approccio pratico». Anche l’idea di innalzare l’obbligo scolastico presenta dei problemi. «Il dibattito è relativo agli anni scolastici obbligatori che, a seconda del punto di vista politico, oscillano tra i 16 e i 18. In particolare, l’obbligo a 18 anni è una vecchia battaglia del centrosinistra mentre il centrodestra, spesso, ha sostenuto che sia 16 l’età giusta, salvo il fatto che vige una sorta di diritto/ dovere a studiare almeno sino ai 18. Ebbene: credo che destra e sinistra farebbero meglio a smetterla di litigare su questioni nominali per concentrarsi sulle priorità sostanziali».
E, per Cereda, tali priorità hanno a che fare relativamente con il numero di anni trascorsi in un’aula scolastica. «Non è tanto importante fissare l’obbligo a 16 o a 18 anni, ma trovare una soluzione per tutti quei ragazzi che, ad esempio, a 18 anni non hanno ancora ottenuto la promozione in seconda. Il tasso di dispersione scolastica, infatti, in Italia è ancora estremamente alto».