«La notizia mi atterrisce, perché è evidente una invasività dello Stato nei confronti della vita delle persone e delle loro famiglie, quasi come se il diritto alla salute si trasformi in dovere alla salute. Il problema è proprio questo: lo Stato deve garantire il diritto alla salute, ma dietro queste campagne che si svolgono nei confronti dell’obesità l’attenzione è rivolta soprattutto ai costi per il servizio sanitario e nessuno guarda alla persona e alle sue vere motivazioni». Mario Pollo, professore di Pedagogia generale e sociale alla Lumsa di Roma, commenta in questa intervista l’iniziativa di un distretto scolastico di Long Island, New Jersey: per combattere l’obesità infantile il distretto scolastico di Bay Shore sta pensando di utilizzare dei braccialetti elettronici, simili a quelli per i detenuti in libertà vigilata che, messi ai polsi dei ragazzini, registrano numerosi dati relativi all’attività fisica del soggetto: si tratta di veri e propri mini computer che accumulano informazioni riguardo battiti cardiaci, calorie accumulate e distanze percorse, che poi gli insegnanti possono scaricare e analizzare. Le polemiche non sono naturalmente mancate, e molti genitori hanno accusato la scuola di aver preso questa iniziativa senza averli informati in precedenza.
Professore, ci stava parlando delle vere motivazioni che spesso risiedono dietro queste campagne contro l’obesità…
Sì, in questi casi combattere l’obesità significa praticamente ridurre i costi, in una battaglia in cui non è più dominante la persona ma semplicemente la logica economica. Inoltre le persone non sono libere di decidere come vivere, ma è importante capire che se il loro stile di vita li sta portando a una vita più breve, questo rientra nel dominio della loro responsabilità. Invece nel caso di bambini, non avendo loro la maturità per poter prendere questo tipo di scelte, è chiaro che spetta ai genitori e alle famiglie, per cui se si ritiene che la salute di questi bambini sia in pericolo, è necessario dialogare e discutere con i genitori per cercare di motivarli a fare in modo che agiscano per il bene dei loro figli, responsabilizzandoli e insegnando loro uno stile di vita migliore e più salutare.
Cos’è accaduto invece in questo caso?
Se la scuola scavalca la figura del genitore, allora sembra proprio una delegittimazione e una espropriazione del ruolo legittimo del padre e della madre. Andiamo quindi verso un modello dove le scelte in materia di vita, invece che essere frutto di un “negoziato sociale”, di un processo di persuasione che guardi ai vari mutamenti culturali di soggetti attivi e non passivi, sono imposte alle persone senza alcuna mediazione e livelli di partecipazione.
Secondo lei questo progetto, se non fosse stato coercitivo e se fosse stato pensato insieme ai genitori e agli stessi bambini, può esser considerato scientificamente valido?
La mia personale convinzione è che ormai sembra scientifico solo ciò che passa attraverso il passaggio stretto della misurazione numerica, cioè solo ciò che si traduce in indicatori e numeri, mentre le vie della conoscenza umana non passano solamente attraverso misure quantitative, ma anche per esempio attraverso modelli narrativi. Allora mi chiedo se un bambino non possa essere coinvolto, in un processo educativo forte, a fare più attività all’interno di uno schema dove le misure non sono permanenti e continue. Credo quindi che questo progetto possa avere anche una sua validità, ma personalmente ritengo che si tratti di un eccesso di misurazione, in un controllo sociale esasperato che di certo non può fare bene a un bambino.
Cosa pensa però dell’emergenza obesità infantile in America?
Certamente l’emergenza esiste, ma in questo caso, come spesso accade, si cura il sintomo e non la causa. E’ importante curare i bambini che sono diventati obesi ma il problema vero, prima ancora dei bracciali, è quello di sviluppare modelli culturali che per esempio riguardino l’alimentazione, il movimento e l’attività ludica dei bambini. Combattere le cause è possibile solo attraverso un’azione di cambiamento culturale molto più radicale.
(Claudio Perlini)