Docenti che dal sud si trasferiscono al nord e, non appena possono, tornano al paese natio o il più vicino possibile, lasciando scoperta la cattedra che abbandonano. Una questione che, secondo il quotidiano la Repubblica, è liquidabile come chiodo fisso della Lega. Sarebbe, infatti, sufficiente leggere i dati di Scuola in Chiaro, sito internet ministeriale, per capire che la tanto denunciata mobilità è un fenomeno residuale. «Quali dati? Quelli di Scuola in Chiaro? Chiunque operi in ambito scolastico sa che non sono attendibili. Si basano su fonti imprecise, provenienti dalle singole scuole; dati che non sono mai stati aggregati, comparati o verificati attentamente», commenta, raggiunto da ilSussidiario.net Roberto Pellegatta, dirigente scolastico e presidente di Disal. «Per capire quello che intendo dire – continua – basta andare sul sito del ministero dell’Istruzione, cercare una tabella che illustri quanti siano i docenti di ruolo e quanti i supplenti, e scoprire che non esiste un documento del genere». Esiste, invece, il fenomeno negato da Repubblica.



«Il problema evidentemente esiste; posso affermarlo con sicurezza, in ragione della mia esperienza, che non è ascrivibile unicamente alle dinamiche cui assito personalmente, ma si estende alle innumerevoli testimonianze che ho raccolto da altri presidi». Posto che la questione, quindi, sia seria, occorre capire che giudizio darne: «tutti gli insegnanti d’Italia – dice Pellegatta – appena possono fanno domanda di trasferimento per andare vicino a dove abitano. Chi non lo farebbe? Demonizzare quelli del sud, che appena possono fanno ritorno a casa, è demenziale». Il motivo per il quale il fenomeno riguardi, effettivamente, più specificamente i docenti del meridione è pressoché scontato: «al sud c’è maggiore carenza di lavoro. La stessa ragione per la quale molti ingegneri o avvocati del sud si trasferiscano al nord».



Sta di fatto che persistono le complicazioni relative alle cattedre che restano scoperte. «Il problema è a monte», spiega Pellegatta. «Il sistema nazionale della graduatorie è la rovina delle scuole italiane perché consente una costante e permanente mobilità, alla quale il sindacato – il maggior colpevole, in tal senso –, non ha mai voluto porre dei limiti». Una mobilità che è duplice: «da un lato c’è quella relativa ai trasferimenti, che riguarda i docenti di ruolo; dall’altro, quella delle relativa alle supplenze, che si somma alla prima: posti disponibili, che non sono stabili, e che cambiano di anno in anno». Secondo il professore, quindi, la chiave di volta consiste nella modifica del sistema di reclutamento. L’ex ministro Fioroni, su queste pagine, affermava che «sulla base dei posti disponibili si fa un concorso. Chi vince entra, chi non vince o fa un altro mestiere, o prova un altro concorso. Ma finiamola con il dar vita a nuove graduatorie. Si ha il dovere di calcolare con precisione il fabbisogno e bandire i concorsi in modo da esaurire le graduatorie permanenti e consentire i nuovi accessi». 



Per Pellegatta, invece, il problema non è lo strumento, ovvero il concorso, ma il soggetto che recluta. «Se tale soggetto continuerà ad essere lo Stato, non cambierà nulla. Si deve passare, quindi, al reclutamento fatto dalle piccole scuole o dalle reti locali di piccole scuole, esattamente, ad esempio, come fanno gli ospedali. Se il concorso è fatto dalle singole realtà, la persona si candida dove vuole andare a lavorare, chi recluta ha capacità di valutazione, e si fidelizza un rapporto. Tutto questo ridurrebbe la mobilità».