Cosa ne sarebbe stato di Dante, Leopardi o Manzoni se avessero avuto a disposizione Facebook, Twitter, iPad, cellulari e mail con cui chattare, twittare, mandarsi sms o mail tutto il giorno? Forse la loro arte sarebbe risultata inficiata dalle barbarie della lingua degradata, e non avremmo mai goduto della loro grandezza. O forse no. Non lo sapremo mai. Sappiamo, invece, che oggi un’analoga preoccupazione si può ravvisare rispetto a centinaia di migliaia di studenti italiani. Già poco inclini, magari, allo studio. E condizionati dall’uso continuo di un linguaggio che, con la lingua italiana, non ha niente a che fare. Quindi? Serve correre ai ripari? «A scuola si continuano a compiere operazioni tradizionali che nulla hanno a che fare con i nuovi media. Si studia, ad esempio, sui testi scritti», spiega, raggiunto da IlSussidiario.net Luca Serianni, docente di Storia della lingua italiana nell’Università di Roma La Sapienza. «E’ pur vero, tuttavia – continua -, che le modalità di espressione relative ai nuovi media comportano indubbiamente una riduzione della gittata del discorso – con frasi sintetiche e molto brevi -, e una riflessione meno accurata su ciò che si legge o si scrive».



Il motivo è noto: «si tratta di un portato di quell’eccesso di comunicazione in cui anche gli adulti sono immersi». Alla scuola spetta il compito di porre rimedio: «un’operazione da fare consiste nel ritrovare il “gusto della lentezza”. Si tratta di quell’atteggiamento da adottare quando riflettiamo su ciò che è scritto, per comprendere quanto è stato detto e produrre qualcosa che non sia estemporaneo». Certo, non è il caso, secondo il professore, di cadere vittime di allarmismi: «la comunicazione mediante sms, interventi sui blog o Facebook si realizza con il passaggio diretto dall’oralità alla scrittura, ed è legata al momento effimero. Si tratta di un genere di linguaggio, quindi, perfettamente adeguato a quel contesto». Ma, se si sceglie un altro quadro di riferimento, cambia tutto: «Quando poi ci si deve impegnare in ragionamenti in grado di dar vita a riflessioni più ampie quali, ad esempio, l’editoriale di un giornale, quel tipo di linguaggio risulta non essere più adeguato».



Secondo alcuni, l’influenza negativa dei nuovi media potrebbe essere tale da rendere sempre più difficile discernere tra contesti, utilizzando gli strumenti linguistici più opportuni. «Il rischio c’è. L’unico organismo che possa correggerlo è la scuola». Resta da vedere se l’ipotesi del ministro Profumo di informatizzare maggiormente le aule scolastiche e di dotare gli alunni prenderà piede. E se terrà conto di tali rischi. «Si può pensare di aggiornare i metodi», dice Serianni.

«Ma il fine resta uno. Quello di avviare la riflessione critica, al quale tutti gli altri soggiacciono. Un tablet, in tal senso, non è escluso che possa agevolare». Bisogna capire se è un fine che la scuola è in grado di perseguire. «In realtà, non può dirsi del tutto adeguata: i mezzi di cui ci si avvale per l’insegnamento dell’italiano, come le grammatiche, sono in parte obsoleti e inefficaci e vissuti come tali dai ragazzi». Per Serianni, le elementari sono il settore in cui si dovrebbe intervenire di meno. «Ma dalla secondaria in poi occorrerebbe favorire un contatto, ad esempio, con gli scritti di divulgazione. C’è una vasta scelta tra testi o periodici che si rivolgono ad un pubblico piuttosto ampio sui quali si potrebbero fare degli esercizi di comprensione».