Nessuna riforma della scuola secondaria, a ben guardare, è mai stata introdotta da un’analisi approfondita degli studenti, della loro condizione e dei loro bisogni. Né è stato mai fatto un esame accurato delle due difficili fasi di transizione: dal primo ciclo al secondo e dal secondo agli sbocchi successivi.
Al centro ci sono sempre gli eterni “personaggi” della nostra vita scolastica: i Programmi, oggi Linee guida o Indicazioni, gli Orari, gli Organici, le Cattedre. E non ci si rende conto che il rapporto con i giovani che studiano (oggi tutti obbligati) è la questione fondamentale, non solo per la drammatica situazione italiana dei drop out e dei neet.
Irresponsabili e turbolenti, ignoranti e fannulloni, vestiti in modo improbabile, dipendenti dai cellulari, dagli iPod, dai social network, difesi dai genitori in tutte le peggiori circostanze, assenteisti e maleducati. Queste sono le descrizioni disperanti che si rincorrono nelle sale insegnanti, con accentuazione dei toni negli istituti tecnici e professionali.
Eppure il problema non è proprio nato oggi, se più di cinquant’anni fa Guido Calogero, intellettuale di un’epoca in cui anche i filosofi si impegnavano a discutere di scuola, si accorgeva che tra noi e i nostri allievi c’era qualcosa che non andava: “Anche i laici più inveterati, in Italia, credono al peccato originale. Il ragazzo è originariamente sbagliato, storto e deve essere fatto soffrire durante tutta la fanciullezza e l’adolescenza, per diventare adulto. (…) Ci hanno insegnato che solo attraverso la sofferenza si educa lo spirito; e quindi bisogna accettare che la scuola sia un fatto eminentemente spiacevole tanto per gli insegnanti quanto per gli scolari” (1953).
Provocazioni a cui nessuno ha dato ascolto, al punto che oggi il problema della “convivenza” a scuola con gli studenti sembra diventato insolubile. È fonte di sordi conflitti, di un diffuso disagio tra gli insegnanti e di una sofferenza che si traduce spesso in una difesa acritica della propria funzione, quando non sfocia in una struggente nostalgia per una Paese, una scuola, che non c’è più e forse non c’è mai stata.
Questa posizione di difesa tende ad obnubilare la consapevolezza di alcuni processi irreversibili avvenuti negli ultimi quarant’anni, che occorre invece comprendere appieno. Se ne indicano sommariamente quattro.
1. La fine dell’autorità dell’insegnante. Una volta il docente era il delegato dell’autorità dei genitori, nei quali trovava sostegno nell’imporre ai figli valori e comportamenti. Oggi la famiglia non può delegare nessuna autorità perché l’ha perduta essa stessa.
2. Una nuova composizione del corpo studentesco. Nelle nostre aule hanno fatto ingresso tumultuoso allievi che, per provenienza sociale, economica, culturale, etnica, sono privi della tradizionale etica dello studente, di quell’insieme, cioè, di regole comportamentali, di abitudini disciplinari e di atteggiamenti mentali che per secoli avevano consentito alla scuola di funzionare e agli insegnanti di esercitare un’autorità socialmente riconosciuta e legittimata.
3. La crisi dei saperi e dei modi di apprendere. Da tempo i saperi scolastici sono stati messi in crisi non solo dalla loro esplosiva estensione e frammentazione, ma anche dall’invadenza di un’esopaideia, come la chiama Raffaele Simone, fatta di una cornucopia di iPhone, iPad, smart phone, nonché di videogiochi, di social network, ecc.., che ne fanno una fonte di apprendimento attraente ed invasiva.
4. La fine della funzione della scuola come ascensore sociale. Pare giunta al capolinea la promessa più importante della scuola, quella che ne faceva l’unica via per trovare un lavoro o una professione, che liberava i giovani dalla precarietà e dal bisogno e li faceva salire lungo la scala sociale. Questa, in fondo, era la vera missione emancipatrice dell’istituzione scolastica “classica”. Oggi i giovani percepiscono molto presto che la scuola non garantisce più questa prospettiva.
Che fare allora? L’ADi, Associazione Docenti Italiani, ha ritenuto che sia fondamentale approfondire questi temi, avvicinarsi ai giovani che vivono e soffrono sulla loro pelle la rivoluzione della modernità. Per questo ha organizzato un seminario internazionale il 24 e 25 febbraio p.v. a Bologna, dal titolo O la scuola o la vita. Studenti questi sconosciuti. Strategie per un incontro possibile. La questione sarà affrontata nei suoi diversi aspetti da un prestigioso pool di esperti nazionali e internazionali in sociologia, psicologia, statistica, politiche scolastiche. E non mancheranno loro, gli studenti, che rappresenteranno dal vivo alcune situazioni emblematiche.