L’intervento di Mariapia Veladiano su Repubblica del 18 gennaio e quello successivo di Marco Lepore su queste pagine hanno riacceso il periodico dibattito intorno al contributo economico delle famiglie alle spese della scuola. Sarebbe utile, per una riflessione che voglia servire al miglioramento del sistema scolastico, evitare di scadere nel qualunquismo – non è vero infatti che “la scuola pubblica la pagano in grandissima parte le famiglie” – o utilizzare il tema della scuola come clava nell’agone politico.
Parlando di rapporto tra spesa pubblica e spesa privata, è bene guardare innanzitutto i dati (Fonte Education at Glance 2011, riferita ai dati 2008), e chiarire che se è vero che in Italia la percentuale di spesa per l’istruzione sul Pil (4,8%) è inferiore al totale Ocse (6,1%), questo dato si riferisce non alla spesa pubblica, bensì alla spesa complessiva, comprensiva di quanto pagano i privati (tasse scolastiche, contributi delle famiglie, ma anche sponsorizzazioni). Se scorporiamo il finanziamento privato, che in Italia vale lo 0,3% del Pil, la spesa italiana (4,5% del Pil) è sostanzialmente pari a quella complessiva Ocse (4,7%) e superiore a quella della Germania (4,1%).
La differenza quindi è molto legata al contributo privato all’istruzione: mentre la media Ocse vede le risorse private coprire il 16,5% della spesa complessiva, in Italia si arriva all’8,6%, una quota molto inferiore, anche se in aumento dal 5,7% del 2000. Se poi osserviamo il solo segmento dell’istruzione primaria e secondaria il contributo delle famiglie scende al 2,9% della spesa complessiva.
Sebbene l’Italia non sia in una situazione così drammatica tale per cui “senza il contributo delle famiglie nella scuola non si farebbe quasi nulla”, è tuttavia quanto mai necessario che vi sia una maggior sicurezza, trasparenza e garanzia di tempi e quantità di risorse su cui le scuole possono contare. L’esperienza passata dei ritardi nell’assegnazione alle scuole dei fondi per il funzionamento, la poca chiarezza delle risorse disponibili per le supplenze e per gli esami finali, hanno creato situazioni al limite dell’insolvenza, e come sempre a farne le spese sono state per prime le parti più deboli, come sono i supplenti temporanei.
E’ in tale situazione di bisogno che le scuole hanno iniziato ad effettuare forzature sui contributi delle famiglie, da un lato cercando di trasformare in “dovuti” contributi la cui natura non può che essere invece volontaria, e dall’altro distraendo i contributi volontari dei genitori dalle finalità per cui sono richiesti, utilizzandoli per le spese di funzionamento ordinario della scuola.
Ricorrere ai contributi per far fronte alle carenze dello Stato nel finanziare l’ordinaria erogazione del servizio accentua le diseguaglianze tra i sistemi scolastici dei diversi territori e può minare la collaborazione tra scuola e famiglia.
Per trovare un nuovo punto di equilibrio tra diritti dei cittadini e le istituzioni, è innanzitutto da ricordare che la responsabilità del funzionamento del sistema scolastico non è più solo dello Stato. Con il Decreto legislativo 112/98, attuativo della Legge 59/97 (Legge Bassanini), sono stati conferiti compiti amministrativi alle Regioni e agli Enti locali: i Comuni per il primo ciclo e le Province per il secondo ciclo hanno competenza diretta – solo per fare degli esempi – sull’edilizia scolastica e sulle attrezzature laboratoriali, nonché sui servizi di supporto organizzativo per gli studenti disabili, l’orientamento, la prevenzione della dispersione scolastica. La situazione di degrado di molti edifici scolastici, spesso intollerabile, è perciò diretta responsabilità non dello Stato, ma degli enti locali.
In tale situazione ciò che lo Stato deve fare è garantire alle autonomie scolastiche certezza delle risorse – umane e finanziarie – su cui possono contare e tempi adeguati di assegnazione. Contestualmente deve definire con chiarezza quali sono i “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP), cioè i servizi che devono essere garantiti obbligatoriamente dai diversi livelli istituzionali – Stato, regioni ed enti locali, istituzioni scolastiche – in funzione delle norme generali vigenti, e controllarne il rispetto.
L’esplicitazione dei livelli essenziali delle prestazioni sarebbe un passaggio epocale per il sistema educativo, perché definirebbe una nuova base del rapporto tra Stato, istituzioni locali e scuole autonome, fondato su libertà e responsabilità, e perché i LEP diventano esigibili da parte dei cittadini, che quindi sarebbero nelle condizioni di avere certezza di quali sono i servizi di cui hanno diritto e da parte di chi devono essere garantiti.
Una tale maturazione del rapporto sia tra i diversi livelli istituzionali tra loro sia tra istituzioni e cittadini è la premessa necessaria anche per una rinnovata partecipazione delle famiglie alla vita della scuola. I livelli essenziali che devono essere garantiti rappresentano per loro natura un “minimo”, che apre con trasparenza alla volontarietà dei contributi – non solo economici – delle famiglie alla scuola. Le famiglie potrebbero in tal senso partecipare alla vita della scuola concorrendo a sviluppare un nuovo vasto ambito di intervento: tutto ciò che è oltre i LEP.
La consapevolezza di poter effettivamente incidere con le proprie scelte nella definizione e nella realizzazione di una più ampia offerta formativa, condividere il Pof e il bilancio, sono una condizione necessaria per stimolare l’interesse a una partecipazione più diffusa e informata alla vita della scuola.
Perché se, come giustamente ha richiamato il ministro Profumo, la scuola è un investimento e non un costo, questo investimento non deve essere lasciato solamente allo Stato, ma deve interessare tutta la società. In tal senso, attraverso la più ampia partecipazione delle famiglie, con l’apertura della scuola oltre il tempo scuola, la ricchezza di iniziative che possono nascere nel coinvolgimento con il territorio, i comitati genitori, il rapporto positivo con il tessuto produttivo, la scuola può rinnovarsi, ritrovare un nuovo significato del suo essere “scuola autonoma”, trasformandosi da scuola dello Stato a scuola della società.