“Prof, ci aiuta a cambiare il tempo prolungato?” Come non dare ragione al desiderio di cambiamento degli alunni se, a fronte dei loro colleghi che frequentano sezioni a tempo normale con 6 ore curricolari solo al mattino, i ragazzi del tempo prolungato hanno 2 ore curricolari in più per 3 pomeriggi su 5 la settimana con mensa, settima e ottava ora per tutti e tre gli anni di media? Il tempo prolungato (Tp) nasce nel 1978 come risposta educativo-pedagogica a quel grande fermento che furono gli anni settanta, offrendo ore di compresenza di più discipline: una pluralità di percorsi didattici che resero unico e per un verso innovativo quello che era nato come potenziamento dell’offerta formativa.
L’anno precedente vennero abolite le classi differenziali o speciali per fasce deboli di studenti. Successivamente, in seno all’autonomia, la legge 53/03 propone un’offerta di ore opzionali/facoltative pomeridiane a scelta delle famiglie dove la laboratorialità e la personalizzazione giocano un ruolo importante. La legge 133/08 abolisce le compresenze nelle classi che hanno continuato a mantenere il vecchio Tp, offrendo più ore curricolari di italiano (5) e matematica (2) la settimana, rispetto al tempo normale (Tn) o ordinario, riducendo la discrezionalità decisionale delle singole scuole ed escludendo la possibilità di attività opzionali e facoltative a scelta delle famiglie, in un’ottica di contenimento della spesa pubblica.
A partire dall’a.s. 2009-2010, i quadri orari e di organizzazione dei tempi scuola si modulano così sulla base della proposta settimanale di 30 ore curricolari al mattino (Tn) e/o 36 ore elevabili sino a 40 (Tp) distribuite su 2 o più pomeriggi. Con l’abolizione delle compresenze il Tp risulta quindi oggi completamente snaturato delle motivazioni iniziali.
Le esperienze compiute in classi a Tp rendono palesi alcune contraddizioni in relazione alla tipologia dei ragazzi che le frequentano.
Come emerge dal Documento di sintesi del lavoro di ricerca del gruppo tecnico sulla scuola secondaria di I grado (maggio 2009), oggi le classi a Tp sono costituite in gran parte da alunni stranieri di prima e seconda alfabetizzazione, alunni con problemi più seri sul piano degli apprendimenti e su quello del comportamento, spesso con differenze socio-economiche di rilievo, nonché casi limite e di potenziale drop-out.
Essendo poi classi intere e, spesso, non costituite da sottogruppi di classi contigue e parallele, si autoformano: le famiglie cioè optano all’atto dell’iscrizione, necessitate da motivi gestionali e di lavoro. L’utenza che vi si rivolge è così marginalizzata a priori e, a propria insaputa, anche a posteriori. Il Rapporto 2011 della Fondazione Agnelli sulla scuola rivela, infatti, che i criteri con cui vengono formate le classi possono influenzare in modo significativo i risultati degli studenti e che il principio di eterogeneità socio-culturale è spesso disatteso: è in questa fascia di età che emergono i divari di apprendimento dovuti anche all’origine socio-culturale degli studenti e questo compromette il loro futuro iter scolastico incentivando la dispersione.
– Dare più tempo scuola non significa offrire più ore di insegnamento. Il Tp o lungo spesso rimane una scelta subita dagli stessi ragazzi che lo vivono: pur rappresentando per i genitori un ambito protetto e una risorsa, esso è costituito da ore curricolari che appesantiscono il tempo scuola complessivo e da una didattica non adeguata.
– I bisogni degli adulti, spesso condizionati da esigenze lavorative, non collimano sempre con quelli dei ragazzi (si veda la maggiore richiesta da parte delle famiglie di più tempo scuola al pomeriggio, Rapporto 2011 sulla scuola della Fondazione Agnelli).
È necessario formare classi “equi-eterogenee”, vale a dire eterogenee al loro interno, ma omogenee fra loro, offrendo a tutti uno stesso tempo scuola curricolare al mattino e, per chi lo richieda, attività laboratoriali pomeridiane. Si pone quindi la necessità di innovare la didattica, centrandola sulle competenze, proprio in una fascia di età dove il desiderio di autonomia e il bisogno di una maggiore motivazione allo studio esigono azioni educativo-didattiche flessibili e personalizzate, in rete con il territorio e aperte alle altre agenzie educative.
La questione centrale della scuola secondaria di I grado è quella di favorire il successo formativo dei ragazzi e la loro inclusione sociale, e il criterio decisivo dell’azione pedagogica e didattica deve essere la scoperta e lo sviluppo dei talenti. Pertanto è necessario offrire loro una diversa impostazione organizzativa del tempo-scuola, nel quale sia possibile la scelta di una pluralità di offerta formativa integrata con un modello laboratoriale.
La scuola secondaria di I grado soffre di un’arretratezza di “sistema”, mancando di un core-curriculum che si articoli adeguatamente col tempo-scuola. La qualità del sistema scolastico si rilancia attraverso una maggiore ricchezza e variabilità dell’offerta formativa. Ma a volte si procede imperterriti finché le esperienze educative, le famiglie o gli studenti non sollecitano un cambiamento di rotta. Un cambiamento personale, collettivo, di sistema. L’indicatore di una buona scuola risiede tutto nella sua capacità ad innovarsi. O forse dovremmo “far finta di essere sani”?